Non profit

Tre domande sui soggiorni terapeutici

Opinioni: il contributo di una ricercatrice presso Issan - Istituto studi sviluppo aziende non profit, di Giulia Galera

di Redazione

La vicenda della bambina bielorussa ?rapita? dalla famiglia ospitante genovese ha fatto emergere chiaramente alcuni aspetti discutibili che sottendono i viaggi di accoglienza dei bambini bielorussi di Chernobyl.

Il contrasto tra violazione del diritto da un lato – dovuto alla mancanza di titolarità genitoriale – e ferma volontà di tutelare un minore vittima di violenza attraverso ogni mezzo si è giocoforza risolto sul piano legale, facendo tornare la bambina in Bielorussia. Tuttavia, la vicenda ha favorito anche una discussione, tuttora aperta, sulle modalità attraverso cui è possibile intervenire per aiutare efficacemente i bambini di Chernobyl. Da più parti è stata avanzata la richiesta di regolamentare i viaggi terapeutici. Ma forse il problema su cui interrogarsi è a monte. Ha senso parlare di ?viaggi terapeutici??

Le mie riflessioni sono maturate dopo aver partecipato ad alcuni progetti di accoglienza di bambini di Chernobyl e in seguito ad alcune esperienze di studio in Bielorussia. Le domande aperte riguardano il problema affrontato attraverso i viaggi di accoglienza, i beneficiari degli interventi e i benefici/costi sostenuti. Venendo al primo punto, si può parlare di viaggi terapeutici, che giustificherebbero il trasferimento all?estero di 25- 28mila minori non affetti da patologie conclamate, in un Paese geograficamente lontano e culturalmente diverso? Per giustificare gli interventi da un punto di vista medico, sarebbe necessario comparare l?efficacia dei viaggi all?estero – in termini di riduzione del livello di cesio radioattivo nel sangue – a quella delle riabilitazioni in località non contaminate all?interno del Paese di provenienza dei bambini o in Paesi limitrofi.

In altre parole, siamo sicuri che non ci siano soluzioni più efficaci in grado di coinvolgere un maggior numero di bambini? La risposta è tutt?altro che scontata.

Secondo aspetto, i beneficiari. Dovrebbero essere sia bambini in stato di abbandono, sia bambini con famiglia provenienti da aree contaminate dall?incidente di Chernobyl del 1986. In realtà, a essere coinvolti sono anche bambini provenienti da zone non ufficialmente contaminate. Nel caso dei bambini in stato di abbandono, il trasferimento in un ambiente molto più agiato, affettivamente rassicurante e stimolante non può che avere effetti destabilizzanti. I costi, sia psicologici che economici, sono chiaramente individuabili. I bambini cresciuti in istituto si ritrovano a 17 anni doppiamente abbandonati: dall?istituzione che li ha cresciuti, dalle famiglie a ?termine? e dagli enti che si erano adoperati per disintossicarli dalle radiazioni. Di qui la rassegnazione che può portare a situazioni di forte emarginazione sociale.

I costi economici, poi, sono esagerati (viaggio e permanenza in Italia) se rapportati al costo medio della vita in Bielorussia.

Quali soluzioni? Una possibile strategia, a mio avviso, è quella di continuare a sostenere solo viaggi di minori a scopo sanitario. E, contemporaneamente, sostenere le adozioni nazionali e internazionali, i progetti di sviluppo ed educativi in loco e le organizzazioni di terzo settore bielorusse che con grande difficoltà operano a favore dei minori.

L?intervento integrale è disponibile su www.vita.it

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