Un gigante sulle spalle di molti nani. Così appare Quentin Tarantino quando menziona (e lo fa di continuo, divertendosi molto) tanti registi (fra cui se stesso) e moltissimi film, soprattutto del passato. Li valorizza, recuperandone i tic e le piccole originalità, ma al tempo stesso si posiziona, rispetto a loro, in un gioco che sembra un dialogo. Ma non si tratta di semplice citazionismo: il papà di Pulp Fiction quelle immagini di un tempo le mescola, le contamina, le unisce spesso all?interno della medesima inquadratura. Il risultato è una messa in scena che continuamente sollecita lo spettatore proponendogli più centri d?interesse all?interno del medesimo quadro. Eh, la vera forza delle immagini: costringerti a guardarle?
Un esempio? Tarantino deve mostrare cosa succede al di là di una balaustra? Muove la macchina da presa in avanti (come farebbero molti), ma colloca sulla sinistra dell?immagine una giovane donna che a quella balaustra si affaccia. Ne deriva una sorta di soggettiva anonima cui si sovrappone lo sguardo del pubblico focalizzato sulla ragazza. Che è poi una delle bellezze sacrificate sull?altare del trash, del caso, del ritmo e della follia – ingredienti fondamentali per questo notevole film che ha una storia particolare: è nato come parte di un?opera a quattro mani salvo poi essere distribuito autonomamente.
Grindhouse però non è la sua sceneggiatura. Va molto oltre: è nelle attese, nelle pause infinite, nelle accelerazioni, nella costruzione di un climax pazzesco, nelle scene con il cuore in gola, nella fantasia irriverente e senza freni. Insomma, nel suo essere senza limiti né regole. Almeno in apparenza. Perché a ben guardare, dietro l?estetica anni 70, accanto alla dovizia di particolari, insieme al gusto eccentrico e alla maestria (e a una serie infinita di trucchetti coraggiosi: finti stacchi nel montaggio, irregolarità nella proiezione, difettucci della colonna sonora), Tarantino le sue regole le dispone una dopo l?altra. Solo che nascono rigorosamente dalle immagini, non hanno una vita autonoma: così le opposizioni che sorreggono il film – finzione/realtà, dolore/piacere, follia/coscienza, crudeltà/dolore e quella dentro/fuori (dentro la macchina, ?a prova di morte?, fuori sulla strada, in mezzo al pericolo) – scaturiscono tutte (a posteriori) dalla messa in scena. Che intanto ti cattura e poi ti lascia a pensare. E a scoprire che quel che sembrava ?solo? un racconto impressionante e truculento dal quale è impossibile distrarsi, racconta più vita di tanto piatto realismo?
Grindhouse – A prova di morte
Quentin Tarantino
Usa 2006
con Kurt Russel, Rosario Dawson
Nessuno ti regala niente, noi sì
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