Welfare

Comunità in declino? I numeri ingannano

Il ministro Ferrero annuncia un calo di presenze di oltre il 50% negli ultimi 10 anni. Ma dietro la supposta crisi c’è un “bluff” statistico...

di Redazione

Rischio estinzione per le comunità terapeutiche? A leggere la relazione al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia nel 2006 il dubbio era più che lecito. I numeri snocciolati dal ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero sembravano, infatti, presagire un rapido tramonto: nel 1996 le strutture del privato sociale censite erano state 1.372 con un?utenza di 24mila persone; dieci anni dopo si sono ridotte a 934 (strutture semiresidenziali incluse) che accolgono non più di 11mila persone. Un crollo verticale, che lo stesso ministro attribuisce «al salasso economico» cui sono sottoposte le strutture. Ma le sole ragioni di portafoglio non basterebbero a giustificare una riduzione dell?utenza di oltre il 54%. Tanto più che sino ad oggi si stimavano in circa 18mila le persone accolte dagli enti di recupero.

Il giallo ha più di una spiegazione. La prima è di ordine statistico. Sabrina Molinaro è la ricercatrice del Cnr di Pisa che ha seguito il rapporto. «Per la prima volta quest?anno abbiamo introdotto il calcolo analitico delle presenze basato sulle cartelle cliniche». Sino alla scorsa edizione, invece, le statistiche erano formulate sui dati relativi alle rette forniti dal ministero dell?Interno. «In questo modo però le duplicazioni sfuggivano: una persona che nello stesso anno rientrava in comunità veniva infatti registrata due volte», chiarisce la ricercatrice. «Negli ultimi anni», conferma Paolo Jarre, responsabile del Sert di Collegno e membro del comitato scientifico del ministero che ha seguito la redazione della Relazione, «il numero degli utenti residenziali del privato sociale si è attestato sulle 11/12mila unità». Il dato dei 18mila comprende invece «anche gli interventi ambulatoriali e semiresidenziali».

Qualche segnale di flessione rispetto allo scorso decennio insomma si registra, ma niente che possa minare le fondamenta del ?modello Italia? («Negli altri Paesi europei – Inghilterra, Francia, Spagna, per citare tre casi – il totale nazionale delle comunità terapeutiche non arriva a 50, con un?utenza massima di circa 3mila persone»). Anzi lo stesso Jarre, che guida anche uno dei pochi esempi italiani di comunità pubblica (la Lucignolo, di Rivoli) osserva come « al di là dell?eroina molte realtà si stiano attrezzando per rispondere ai nuovi consumi, grazie a un processo di specializzazione, cocaina e doppia diagnosi in primis, ormai in fase avanzata». Una tesi supportata anche dalle cifre. Conclude l?esperto piemontese: «I nuovi casi incidenti di eroinomani (quelli relativi a chi entra per la prima volta in comunità, ndr) rappresentano un numero inferiore rispetto a quello dei soggetti inseriti in comunità».

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