Mondo
Bab el oued, la vita all’ombra delle parobole
Viaggio in uno dei quartieri simbolo della capitale algerina
di Redazione
Vista dal cielo sembra un punto bianco immacolato, schiacciato tra il blu del Mediterraneo e le distese crema del deserto saheliano: per questo la chiamano Algeri la Bianca. La capitale algerina mostra un volto tutt?altro che immacolato. Nobile e popolare, sofferto e spensierato, specchio di un Paese flagellato negli anni ?90 da una guerra sanguinosa (almeno 200mila morti civili negli scontri armati che opposero l?esercito nazionale agli estremisti islamici algerini) e proiettato su un futuro pieno di incognite (fra tutte la gestione della manna petrolifera).
Parabole e parole
Algeri si può raccontare in mille modi. Noi abbiamo scelto di farlo partendo dal suo quartiere-simbolo, Bab el Oued, un groviglio di palazzi fatiscenti in cui vivono oltre 150mila persone, per lungo tempo centrale operativa dei terroristi islamici. La ?porta? che ne costituisce l?ingresso ufficiale è già essa stessa un controsenso: affacciato su Place Jean Jaurès, è un imponente edificio haussmaniano, ma ormai privo di dignità. Unica concessione ai tempi moderni, le enormi parabole che dal tetto spuntano come girasoli piantati nel cemento.
«Sono loro», dice sarcastico Aziz, «a mandare i ragazzi fuori di testa». Per questo venticinquenne disoccupato dallo sguardo alla Marlon Brando, il giudizio sulla vita nel quartiere è senza appello: «Nel Paese stanno girando un mucchio di soldi, ma qui non ne vediamo l?ombra. Si parla tanto di petrolio e di gas naturale, ma dalle nostre parti non c?è lavoro e il sistema educativo fa schifo. Invece stai sicuro che ogni famiglia del quartiere possiede almeno un Corano in casa e una parabola sul tetto. Da mattina a sera, Al Jazeera e Al Arabiya ci bombardano di immagini sulle violenze in Medioriente, mentre i canali europei ci danno l?illusione di poter accedere a donne e Mercedes in un batter d?occhio. Credimi, per sfigati come noi, è impossibile non andare in tilt».
Le contraddizioni culturali di Bab el Oued sono tutte riassunte in quel palazzo carico di parabole. Giù, lungo il marciapiede c?è il negozio di Omar Saadidne, 26 anni, venditore di cd, playstation e dvd. «Gli affari non vanno tanto male», racconta. «Potrei stare meglio altrove, ma qui me la cavo vendendo musica tradizionale, film d?azione americani tipo quelli di Jacky Chan, oppure il Padrino. I ragazzi ne vanno matti». All?estremità opposta, la libreria gestita da Noureddine ha un aspetto molto più austero. Sugli scaffali primeggiano libri religiosi in lingua araba. C?è poi Nasser Megherine, un?istituzione qui a Bab el Oued. Quarant?anni, parlantina pronta, un viso addolcito dagli occhi a mandorla, si occupa degli altri: «Siamo l?unico centro culturale del quartiere, l?unico per 150mila residenti. Qua non c?è nessun cinema o campo da calcio, nessuna biblioteca comunale».
Il frastuono attorno alla nomina di Algeri a Capitale culturale del mondo arabo 2007 sembra lontano anni luce. «Eppure», ammonisce Nasser, «lo Stato dovrebbe ricordarsi che proprio a Bab el Oued sono iniziati tutti i guai più recenti del Paese». Qui infatti scoppiarono i primi disordini giovanili della fine degli anni 80 su cui si innestarono i sermoni dei vari Abdelkader Moghni, Abassi Madani e Ali Benhadj (leader del Fronte islamica di salvezza) che inondavano di odio religioso le anime di una plebe atrofizzata da frustrazioni decennali. Mohamed Amine, 23 anni, originario della Casbah, racconta: «Erano tempi terrificanti. Il coprifuoco alle sei, l?angoscia di non tornare mai più a casa, le teste mozzate e gli stupri collettivi».
Brindisi analcolici
Nonostante una concordia civile siglata nel 2000 e una carta per la pace e la riconciliazione votata con percentuali bulgare nel referendum del settembre 2005, il terrorismo algerino fa ancora parlare di sé. Questa volta sotto le vesti dell?Organizzazione Al Qaeda nel Maghreb Islamico, protagonista l?11 aprile scorso di un duplice attentato suicida contro il palazzo governativo e un commissariato di periferia (bilancio: 22 morti e 224 feriti). La tragedia non sembra aver turbato il sonno della gioventù più dorata di Algeri.
Al ?Moonlight?, suoni funky e soul vanno a palla. Siamo a due passi della rue Didouche Mourad, una delle arterie principali della città. In questo locale gettonatissimo dell?Algeri notturna, ragazzi e ragazze si corteggiano attorno a bevande rigorosamente analcoliche. Murad, 25 anni, è un habitué. «Frequento il locale da ormai tre anni. Qui è la vera Algeri, quella che non teme i terroristi e che fa crescere il nostro Paese». Alla politica (tema temutissimo) si preferisce dare spazio all??algerian way of life?: uno stile riservata a un?esigua minoranza di giovani, puro prodotto della (nuova) leadership politico-militare algerina. Quella che si spartisce la gigantesca manna petrolifera, mentre a Bab el Oued, c?è chi aspetta di ricavare un minimo di beneficio dal piano quinquennale annunciato dal presidente Bouteflika. Un ?tesoretto? di 50 miliardi di dollari…
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