Non profit
Il vero prezzo della Tata
Faccia a Faccia. Polemiche in India verso l'azienda accusata di comportamenti non corretti. Intervista a Patkar
di Redazione
Un sari di cotone, un maglione di lana e ai piedi, nudi, un paio di sandali infradito: Medha Patkar è una donna forte, da quasi trent?anni lotta al fianco di tutte quelle persone che dallo sviluppo industriale del subcontinente asiatico non hanno ricavato benefici, ma solo svantaggi. Oggi ha 53 anni ed è conosciuta in tutto il mondo come la ?signora del Narmada?, dal fiume omonimo che attraversa tutta l?India centrale da Est a Ovest (in senso inverso e più a Sud del Gange). Dalla fine degli anni 70 si è opposta, in maniera rigorosamente nonviolenta, alla costruzione di 30 dighe che avrebbero ?cacciato? quasi un milione di famiglie dalle loro terre.
A fine ottobre Medha Patkar è venuta in Italia e Vita l?ha intervistata: la questione del Narmada è sempre di attualità, ma questa volta lei è arrivata per un altro motivo. Nel febbraio di quest?anno, il colosso industriale indiano Tata Motors e la Fiat hanno stretto un accordo che prevede la costruzione di un?auto low cost: una vettura da 100mila rupie, circa 2mila euro. Sarà commercializzata in India, poi eventualmente in Sudamerica. La Tata ha deciso di costruire gli impianti per la produzione a Singur, un?area molto fertile del Bengala Occidentale. A metà del 2006 ha chiesto al governo di quello Stato (dove il Partito comunista indiano ha la maggioranza) di requisire le terre necessarie all?attuazione del progetto. Nel dicembre 2006, di fronte all?opposizione dei proprietari, il governo ha inviato quasi 3mila poliziotti e ha provveduto allo sgombero forzato: 400 ettari di terreni, luoghi coltivati e abitati da 10mila famiglie. «Io, le scrittrici Arundhati Roy e Mahasveti Devi, l?economista John Dreze ci siamo spesi per evitare le requisizioni forzate. La risposta del governo è stata molto violenta: i contadini sono stati cacciati dalle loro case e quelli che non sono voluti partire spontaneamente sono stati picchiati in maniera selvaggia». L?8 novembre Medha Patkar è stata aggredita dagli attivisti del Cpim – il Partito comunista marxista, al governo del West Bengala – a Kapaseberia lungo la strada per Nandigram.
Vita: Da quel dicembre 2006 come si è evoluta la situazione?
Medha Patkar: L?area richiesta dalla Tata è stata recintata, le famiglie residenti sul territorio sono sfollate, ma non si sono arrese. Abbiamo organizzato sit-in, marce, ricorsi in tribunale. Purtroppo il governo del Bengala e la Tata hanno continuato a vessare i contadini. Minacce, violenze e 4 morti. Il caso peggiore è capitato a febbraio. Una studentessa di 18 anni, Tapasi Malik, si era mobilitata per difendere la casa e il lavoro dei suoi genitori. Aveva organizzato delle sedute di protesta nonviolenta insieme ai giovani dei villaggi. Un giorno è stata trovata morta carbonizzata. La polizia ha archiviato la vicenda come suicidio volontario, ma i nostri avvocati hanno fatto riaprire il caso. Ora si è scoperto che in realtà è stata stuprata, strangolata e bruciata in uno stato di semi-incoscienza.
Vita: Oggi a che punto siamo?
Patkar: L?area di Singur è sempre inaccessibile ai contadini, però la costruzione degli impianti industriali non è ancora cominciata. Ma la produzione della vettura low cost dovrebbe iniziare nel gennaio 2008.
Vita: L?India è uno Stato democratico: è ancora possibile che accadano queste cose?
Patkar: Alcuni contadini proprietari hanno ceduto di fronte alle minacce e hanno dato i propri terreni alla Tata. Ma la maggior parte non ha ceduto e allora il governo del West Bengal ha rispolverato una legge coloniale del 1894. Gli inglesi imposero agli indiani il Land Requisition Act per autorizzare gli espropri forzati e ora gli indiani ricchi lo impongono a quelli poveri.
Vita: Non è previsto alcun tipo di rimborso?
Patkar: Per quelli che hanno ceduto i propri terreni ?spontaneamente? sì, ma comunque irrisorio: 10mila rupie (circa 200 euro) per ogni ettaro di terreno. Il problema è che la maggior parte dei contadini non sono proprietari, ma semplici braccianti. Per loro non è previsto nulla in qualsiasi caso. Da un giorno all?altro sono stati privati della loro unica fonte di sostentamento. Alcuni, presi dalla disperazione, si sono suicidati.
Vita: Qual è il destino dei contadini espropriati?
Patkar: Segnato: sanno lavorare la terra, ma senza sono obbligati a trasferirsi in città. Proveranno a sbarcare il lunario a partire da una delle baraccopoli di Calcutta.
Vita: Il capo del governo nel Bengala Occidentale è un membro del Partito comunista indiano: suona alquanto strana questa alleanza fra i capitali Tata e un partito che dice di seguire Mao. A cosa è dovuta?
Patkar: I ministri da noi interpellati ci hanno risposto che il progresso non può attendere. Il capo del governo è stato lodato dalla Tata per la sua «visione di lungo periodo». È ovvio che gli investimenti industriali su un territorio significano anche nuove entrate per lo Stato. Evidentemente i milioni della Tata valgono bene la vita di molti contadini.
Vita: È ancora possibile invertire la tendenza?
Patkar: Sì. In primo luogo non tutti i governi degli Stati indiani sono così supini ai poteri forti come quello del West Bengal. In Kerala, nel Sud della penisola, il Partito comunista al governo ha requisito alcuni terreni concessi in passato alla Tata, a causa delle cattive condizioni di lavoro degli operai. In secondo luogo, è giusto chiarire che noi non siamo contrari al progetto low cost car per principio. A una decina di chilometri da Singur c?è un?area altrettanto grande e inutilizzata, che potrebbe essere sfruttata dalla Tata. Ma loro hanno scelto Singur perché da lì presto passerà un?autostrada.
Vita: In tutto questo l?Italia cosa potrebbe fare?
Patkar: A febbraio Prodi è arrivato in India con una delegazione di 800 persone. Il vostro Paese ha deciso di avviare una serie di partenariati commerciali con le nostre imprese. La Fiat è un partner della Tata dal 2005 ed è coinvolta nel progetto di auto low cost. Un Paese che si vuole paladino dei diritti umani nel mondo non può rimanere indifferente. di Francesco Candelari
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