Non profit

Ma per noi giovanisi apre un sogno

L'indipendenza vista da Pristina

di Redazione

Studiare all’estero. Il sogno di noi ragazzi di Pristina, oggi, è questo: laurearci presso un’università straniera. Pensare a un Kosovo parte dell’Europa. L’indipendenza, per i giovani, è come un muro che cancella una volta per tutte il ricordo del genocidio e che segna l’inizio di una nuova era. Di una prospettiva transatlantica in cui nutrire la nostra voglia di cittadinanza attiva. I giornali stranieri scrivono che l’indipendenza serve ai non kosovari, per aprire nuove banche e ospitare capitali sospetti, ma non è così: serve a noi, perché garantisce il diritto all’autodeterminazione che eviterà nuovi conflitti nei Balcani. Migliaia di persone sono morte per questo diritto, in Kosovo, e ora tocca a noi costruire una società civile e una vita pubblica democratica. La congiuntura economica non è buona, ma il morale è altissimo. A Pristina una birra costa 1 euro, un cellulare solo 0,10 euro al minuto e con 300 euro puoi affittare un appartamento di 100 metri quadrati in centro. Niente, se paragonato al costo della vita negli Stati Uniti e in Europa. Ma qui il tasso di occupazione è al di sotto di qualsiasi Stato europeo e i neolaureati devono accontentarsi di salari molto bassi. Buone ragioni per andarsene? Tutt’altro. Credo che i giovani stranieri dovrebbero venire in Kosovo: per la voglia di democrazia, per la cultura dell’ospitalità e per il desiderio di condividere tutto questo con i Paesi che si sono schierati dalla nostra parte durante il difficile percorso che ha portato all’indipendenza. Girando per Pristina, oggi capisci che è una città giovane e ottimista. Con valori chiari: una governance in stile americano e una cultura europea. L’indipendenza ha aperto la strada verso l’integrazione con l’Occidente.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.