Welfare
Assunti e contenti
L'indagine Una ricerca di «Impresa sociale» sfata falsi miti e stereotipi
di Redazione
La presenza della cooperazione sociale nei media non specialistici (quotidiani, televisioni, ecc.), oltre ad essere ancora piuttosto sporadica, è spesso caratterizzata da riscontri non positivi che riguardano sempre lo stesso motivo, cioè i rapporti di lavoro. La puntata di Report del novembre 2007 è solo l’ultimo episodio in ordine di tempo. Durante la trasmissione le cooperative sociali sono state presentate come luoghi di lavoro precario, poco qualificato e soprattutto mal pagato.
Il luogo in cui si lavora non è uno sfondo neutro, ma gioca un ruolo di primo piano nel soddisfare aspettative articolate e complesse, caratterizzate dalla prevalenza di motivazioni intrinseche all’attività svolta (ad esempio le relazioni con i beneficiari delle attività e con i colleghi) e non solo da riconoscimenti differiti di natura materiale (la retribuzione economica). “Retribuire” il complesso di queste motivazioni attraverso un adeguato sistema di incentivi pone le basi per la produzione di quei beni relazionali dove componenti come l’empatia, l’impegno, la creatività e l’autonomia rappresentano altrettanti requisiti di qualità.
Le cooperative sociali sembrano aver elaborato e consolidato nel tempo un modello che si regge su tre pilastri fondamentali: in primo luogo una selezione dei lavoratori attenta alle competenze professionali in senso stretto, ma anche a motivazioni di tipo valoriale coerenti con il settore di intervento e la mission dell’impresa. In secondo luogo la diffusione di strutture organizzative aperte che incentivano una relazionalità diffusa e “densa” tra i diversi attori in gioco. Infine, l’affermazione dell’equità come principio guida sia in sede di gestione che di distribuzione delle risorse generate dall’impresa. L’insieme di questi fattori svolge anche una funzione di bilanciamento rispetto a livelli di retribuzione economica più contenuti di altri settori, ma che non sembrano esercitare, almeno fino a determinate soglie minime, un’influenza negativa sulla soddisfazione complessiva.
Probabilmente il confronto tra lavoratori, volontari, utenti, ecc. avviene anche in contesti diversi da assemblee e cda (ad esempio nelle équipe dei servizi) ed inoltre sembra essere sempre più l’esito di pratiche gestionali mirate messe in atto dal management delle cooperative. I dati però lasciano solo intravedere questi fenomeni. Saranno altre analisi a fornire risposte a questi e altri interrogativi.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.