Non profit
Laboratori protetti,è ancora nebbia fitta
la norma Continua la polemica sul nuovo codice degli appalti
di Redazione
Continua la polemica sull’applicabilità dell’articolo 52 del nuovo Codice degli appalti. Anche dopo la determinazione di gennaio dell’Autorità di controllo, il caso non sembra risolversi. Anzi Giancarlo Brunato, coordinatore delle cooperative di tipo B per Legacoop, rincara la dose: «L’articolo 52 rimane tuttora inapplicabile. Così si rischia di svuotare una legge che potrebbe rivoluzionare le politiche di inserimento lavorativo delle fasce deboli».
SocialJob: Durante il seminario organizzato da Legacoop sul tema, viste le vostre perplessità, il consigliere dell’Autorità, Camanzi si è detto disponibile a rivedere il caso dell’articolo 52. Da quali basi si dovrebbe partire?
Giancarlo Brunato: Il problema è come far pressione e sensibilizzazione sulle pubbliche amministrazioni per rendere effettivi gli appalti «riservati a laboratori protetti e a programmi di lavoro protetto». Quali appalti è possibile riservare a tali specifiche categorie? Noi proponiamo che l’interpretazione allargata alle cooperative sociali di inserimento lavorativo sarebbe la più consona, in caso contrario resta il nostro dubbio nel pensare che il sistema costruito intorno all’articolo 52 rimanga di fatto inattuabile.
SJ: Da più parti si dice che l’articolo 52, insieme al 2 e al 69, comporterebbe una reale rilettura della 381, soprattutto per gli articoli 4 e 5…
Brunato: Questi articoli non intervengono necessariamente sulla legge 381/91, che rimane invece un caposaldo della cooperazione sociale. L’introduzione del concetto di “clausola sociale” rappresenta una evoluzione delle possibilità e delle sinergie con le pubbliche amministrazioni e apre a innovazioni nell’interpretazione dei requisiti nelle gare d’appalto, soprattutto sopra soglia. In ogni caso rimane la necessità di “attualizzare” la 381 sia rispetto all’evoluzione e alla trasformazione delle caratteristiche del disagio sociale, sia per quanto riguarda le norme dettate dall’art. 5, che ormai appaiono restrittive per le coop di inserimento. Al momento però una prospettiva interessante potrebbe essere il rafforzamento e l’integrazione dell’art. 5 della 381 con quanto prefigurato dagli artt. 2 e 69 del Codice degli appalti, soprattutto per quanto riguarda la regolazione dei rapporti con il pubblico e l’applicazione “concreta” – con la possibilità quindi di valutazione e congruo peso numerico – del concetto di clausola sociale, in quanto questo pone al centro del procedimento la persona svantaggiata.
SJ: Durante il seminario, il professor Franco Dalla Mura consigliava di soffermarsi proprio sugli articoli 2 e 69 (le famose clausole sociali) vista la realistica inapplicabilità del 52. Al momento ci sono stati esempi di applicazione di questi articoli?
Brunato: Stiamo facendo una indagine conoscitiva sulle gare che applicano le clausole sociali, ma non abbiamo rilevato uno sviluppo di questa prassi. Anzi, è piuttosto disattesa. Non è abitudine delle stazioni appaltanti ricorrere a strumenti che “complicano la vita”. Nei pochi casi di applicazione, le coop sociali sono state utilizzate solo come apportatrici di requisiti sociali e non per le competenze professionali. Però la strada è quella, la cooperazione di inserimento ha una forte dimensione partecipativa nelle politiche territoriali del lavoro e dell’inclusione sociale. La difficoltà, e insieme la sfida, è unire le esigenze sociali e le norme di regolazione dell’appaltistica pubblica, quest’ultima di solito molto amorfa e lontana dalla prima.
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