Non profit

La nostra idea di welfarecontro il mercato nero

il nodo badanti Il ruolo dell'impresa sociale nell'assistenza a domicilio

di Redazione

Ora che anche la nuova maggioranza le ha definite «risorse per il Paese», escludendole di fatto dal decreto sicurezza, le badanti entrano di diritto nel sistema di servizi alla persona. Anche perché oggi sono proprio le assistenti famigliari a garantire un livello adeguato di assistenza ai quasi tre milioni di non autosufficienti italiani, che nei prossimi sei anni aumenteranno del 15%. Le badanti rappresentano la maggioranza della forza lavoro impegnata nelle cure domiciliari. Eppure, nonostante l’importanza che ricoprono tali figure nel singolare welfare mix all’italiana, delle oltre 700mila straniere (un milione secondo alcune stime) impegnate nel settore, quasi il 40% vive in clandestinità e oltre un terzo di quelle che posseggono permessi o carte di soggiorno è costretto a lavorare in nero e spesso al minimo salariale. Colpa di uno Stato sociale che, secondo il Cergas – Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria sociale), per un terzo grava sulle tasche delle famiglie e per un altro terzo si affida alle modeste indennità di accompagnamento garantite dall’Inps. Se a questo si aggiunge l’annosa questione delle quote di ingresso e l’incapacità delle amministrazioni locali di mediare tra una domanda e un’offerta ancora regolate dal passaparola, si capisce il perché le famiglie sono in molti casi costrette a ricorrere a rapporti di lavoro illegali e poco gratificanti.
A poco è servito il tentativo di stabilizzare il settore fatto da non poche amministrazioni locali con l’istituzione di albi per le assistenti famigliari. Il fatto è che «ancora non c’è un soggetto pubblico capace di incrociare queste liste con le reali esigenze delle famiglie», spiega Dario Cassata, vicepresidente di Mestieri. «Mancando un vero sistema di integrazione dei servizi, anche i centri di inserimento lavorativo risultano inutili perché non riescono a leggere il bisogno reale».

Sperimentazioni in corso
Eppure le buone pratiche non mancano, soprattutto in quelle regioni dove la cooperazione ha avuto più spazio per impostare progetti sperimentali di supporto agli enti locali.«Non potendo risolvere il problema delle badanti con la naturale modalità dell’inserimento lavorativo», continua Cassata, «l’impresa sociale ha cercato di integrare le due politiche di accompagnamento sociale, garantendo nello stesso tempo la qualità del servizio di assistenza per le famiglie e il miglioramento della condizione sociale e lavorativa per le badanti». Sportelli informativi, rilevazione del bisogno e, contemporaneamente, formazione e integrazione sociale delle straniere hanno dato un’impronta innovativa ai programmi di assistenza. «Lo strumento degli sportelli per i cittadini», continua Cassata, «ha permesso di rilevare quella domanda non ancora letta dal pubblico e, contemporaneamente, di raccogliere le esigenze e le problematiche delle badanti. In più la progettazione di pacchetti formativi mirati ha fornito alle assistenti famigliari un bagaglio di competenze da poter spendere sul mercato».Così, proprio grazie al network territoriale, più del 50% delle assistenti famigliari prese in carico ha potuto regolarizzare la propria condizione. Un bel risultato se si considera che secondo una ricerca della Ires oltre il 60% delle badanti straniere lavora in nero e il 15% per più di 60 ore settimanali. In più non è da sottovalutare l’impatto sulle casse degli enti locali che nei casi di sperimentazione hanno potuto risparmiare oltre il 20% della spesa assistenziale. Ma finora questi progetti riescono ad attecchire quasi esclusivamente al Nord del Paese e hanno ancora carattere sperimentale.
Poche sono ancora le cooperative che si sono affacciate al settore proponendo offerte complete e realmente sostenibili. «All’interno della cooperazione c’è stata una presa d’atto tardiva dell’importanza delle badanti nel sistema di assistenza», spiega Eleonora Vanni della direzione nazionale Legacoopsociali. «In più la mancanza di un vero welfare integrato capace di coniugare assistenza, immigrazione e inserimento al lavoro ha reso ancor più complesso un contesto già condizionato dai limiti all’autoimpresa imposti per legge o dalla questione delle quote di ingresso, rendendo realmente impossibile una pianificazione dell’intervento».

Sussidiarietà vera
Così «la soluzione ideale, in qualche caso anche già sperimentata, sarebbe quella di riuscire a coniugare un’azione pubblica di valutazione, definizione del bisogno e controllo degli interventi, con la presa in carico diretta del territorio assicurata dalla cooperazione sociale». Sulla necessita di una vera sussidiarietà insiste anche Massimo Giusti, responsabile rapporti sindacali per Cgm. «È necessario puntare su misure coordinate che vedano coinvolti, oltre al legislatore, tutti gli attori: i cittadini, le parti sociali e il terzo settore», spiega. «Oggi quello del badantato è un settore non coordinato con la rete di welfare locale e caratterizzato da scarsa qualificazione. L’obiettivo è quello di costruire un’alternativa al mercato nero dell’assistenza a domicilio attraverso progetti a centralità cooperativa accompagnati da un ragionamento mirato sul versante previdenziale per queste nuove figure, favorendo nuovi versamenti anche fiscali che non generino oneri rilevanti per le casse dello Stato».

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