Sotto la tessera del partito pulsa il cuore del capitalista spregiudicato e insieme quello del caritatevole benefattore. In quella strana miscela che è l’economia delle “lanterne rosse”, sta spuntando una razza di manager e imprenditori ibridi, senza freni quando di parla di business e liberismo, imbrigliati solo da Politburo e comitati permanenti, ma allo stesso tempo prodighi di donazioni a quel terzo settore che nella Repubblica popolare non ha mai trovato il benché minimo spazio. Comunisti sempre più ricchi e sempre più filantropi. Tanto che, in pieno spirito di emulazione, il portale del lusso Hurun Report, fa la smorfia agli americani di Forbes e stila le classifiche dei più ricchi di Pechino accanto alle aziende più “responsabili” e ai grandi filantropi. L’evento ormai è un appuntamento fisso per l’establishment dell’ex Celeste impero che vede gratificata, a dispetto della massima confuciana sul “dono silenzioso”, la propria munificenza alla pari dei Paperoni americani, come Bill Gates e Warren Buffet.
C’è da fidarsi?
Sono almeno 73 i ricconi cinesi, coloro che fanno parte della top 100 dei super redditi, ad aver spalancato il portafogli per offrire con moneta sonante un contributo alle vittime del terremoto di maggio, che vale, nel complesso, 135 milioni di dollari. Quattro volte tanto gli stanziamenti predisposti dallo Stato subito dopo la tragedia costata la vita a 10mila persone nel Sichuan. Ma la generosità non è stata stimolata solo dalle devastanti vibrazioni della crosta terreste e dai riflettori dei media internazionali. Hurun Report stima che negli ultimi cinque anni, i top 100 donors cinesi hanno staccato assegni per circa 1,8 miliardi di dollari.
Qui Hong Kong
Il Bill Gates di cinese si chiama Li Ka Shing, nato e tuttora residente ad Hong Kong, il più internazionale degli imprenditori locali, patron di Hutchinson Whampoa, conglomerata che opera in un vasto raggio d’affari da 40 miliardi di dollari di ricavi l’anno: gestioni portuali, energia, alberghi e real estate, infrastrutture, telecomunicazioni (H3g). Li Ka Shing, prendendo spunto dalla Bill and Melinda Gates Foundation, ha annunciato di voler donare un terzo del patrimonio (10 miliardi di dollari) alla sua fondazione che finanzia università, centri di ricerca medica, progetti di welfare. Manca però un bilancio, anche solo un minimo rendiconto delle attività e si sospetta che dietro tanta generosità ci sia solo il tentativo di mettere a riparo le sue fortune dal fisco cinese.
La carica dei Paperoni
Fuori da Hong Kong, il filantropo numero uno è Yu Pengnian, 86enne imprenditore edile di Shenzen. Mr Yu ha donato 420 milioni di dollari, circa l’80% dei suoi profitti netti, alle fondazioni di famiglia (Yu Charitable Fondation e la Shenzen Yu Pengnian Social Welfare association) che si occupano di dare una mano alle popolazioni rurali: quattrini per interventi chirurgici urgenti (come la diffusissima cataratta) e altri sostegni sociali contro la povertà. Il numero due è Zhu Mengyi, altro immobiliarista, con 158 milioni donati in un lustro e al terzo posto c’è Huang Rulun a capo della catena alberghiera Jinyuan, con 120 milioni. Più staccato, con 92 milioni, occupa la quarta posizione Niu Gensheng, del Mengniu Group. nelle prime posizioni, esattamente in sesta assoluta, anche una donna, Yang Lan, di Sunmedia Investments con erogazioni pari a 45 milioni di dollari.
Il ruolo delle fondazioni
Il dinamismo sociale degli imprenditori incomincia a trovare sponda nel partito che all’ultimo congresso, nel 2007, ha aperto le porte alle donazioni verso il terzo settore. Agevolazioni fiscali ci sono sempre state in Cina. Peccato però che valevano solo nei confronti di 20 charities promosse dal partito. Ora il paniere dovrebbe allargarsi, anche se i problemi non mancano. Tre quarti dei soldi donati sono veicolati da fondazioni, che non dispongono di monitoraggio né di controlli e certificazione esterni. Una coltre di mistero che ha portato la rivista Forbes a depennare la Philanthropy China List dalle sue pubblicazioni: «Poche informazioni certe, tanti magnati che non vogliono comparire e charities ancora poco, o per nulla, sviluppate».
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