Non profit
Ambulatori senza frontiere
migranti Il Naga a Milano da anni offre cure agli stranieri senza chiedere i documenti
di Redazione
Loro l’emergenza, quella vera, la frequentano da 21 anni. Giorno dopo giorno le misurano la temperatura, verificano le sue condizioni di salute, fanno diagnosi e prescrivono medicine per malattie spesso legate a una condizione umana di cui, di questi tempi, ci si preoccupa troppo poco: la povertà. Sono i volontari del Naga, cantiere sociale aperto nel 1987 con la speranza di chiudersi rapidamente, appena terminata l’opera che in quegli anni pareva di supplenza, ovvero curare i migranti che, essendo irregolari, non potevano rivolgersi al Servizio sanitario nazionale.
«La nostra missione era ed è molto pragmatica», ricorda il presidente del Naga, Pietro Massarotto, «dare una risposta concreta a un bisogno reale: l’assistenza medica ai primi immigrati. L’idea è nata dalla pratica quotidiana di alcuni medici che si trovavano a curare pazienti privi di diritti ma bisognosi di cura. Certo, in tal modo contribuivano ad affermare l’esistenza anche teorica del diritto universale alla salute». Prende così avvio l’attività ambulatoriale, completamente gratuita. Da lunedì a venerdì. Settimana dopo settimana. Circa 20mila visite l’anno. Nel frattempo il Naga, assieme ad altre realtà come la Caritas romana, fanno pressione perché si riconosca il diritto alla cura, «un’acquisizione essenziale», sottolinea Massarotto, «perché è da lì che si misura la civiltà di un Paese, dal modo con cui tratta le persone più deboli socialmente, e perché l’affermazione dei diritti riguarda tutti. Proprio perché vanno continuamente salvaguardati, anche se paiono, ma non sono mai, scontati». E un risultato pare arrivare nel 1998, anno in cui la legge Turco-Napolitano riconosce il diritto alla salute degli irregolari (almeno per le malattie fondamentali).
Già, perché questo è il punto. Da un lato al cantiere sociale Naga si riconosce una funzione esplicita (tant’è che l’Asl ha autorizzato il suo ambulatorio), dall’altro si prosegue con una politica non troppo illuminata e che soprattutto non vede il collegamento fra il meccanismo dei flussi e la condanna all’irregolarità: «Se io italiano voglio andare a lavorare a Forlì, da avvocato non troverò clienti stando a Milano. Come è possibile pensare che gli extracomunitari trovino dei contratti di lavoro stando nel loro Paese d’origine? Il risultato è che in pratica non si può entrare legalmente in Italia».
Si prepara a durare, dunque, il Naga, mentre i suoi medici registrano nei migranti in visita un aumento dell’insicurezza, della paura, un visibile voler dar meno fastidio possibile. Effetto non secondario, sul piano del vissuto, di tanto scintillar di muscoli…
«Quanto alle prospettive del futuro, ci troviamo di fronte a un bivio: se continuare con il nostro tradizionale atteggiamento pragmatico o lavorare un po’ di più anche sul fronte politico. Io continuo a credere che sia essenziale occuparsi dei diritti dei migranti: se questi ultimi diminuiscono, se si imbarbarisce la cultura giuridica, si indeboliscono i diritti di tutti. Anche degli italiani».
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