Non profit

Rifugiati senza fondi

il caso La rete degli enti locali che si occupa dell'accoglienza lancia l'allarme

di Redazione

S ono tanti gli immigrati che ogni anno ottengono asilo o protezione nel nostro Paese, oltre 7.700 nel 2007. Per queste persone servono progetti adeguati, ma quelli già attivati non bastano per tutti. Ed ecco che il ministro degli Interni, Roberto Maroni, ha chiesto nuovi posti straordinari all’Anci, l’associazione dei Comuni, e il vicepresidente Fabio Sturani ha subito detto sì. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo un bel po’ di soldi. Che però scarseggiano, come conferma Daniela Di Capua, direttrice dello Sprar, il Sistema di protezione per i richiedenti asilo e i rifugiati, la rete degli enti locali dell’Anci, istituita dal ministero, che gestisce i progetti di accoglienza e integrazione per queste persone: «Abbiamo le capacità organizzative per rispondere a questa richiesta», afferma Di Capua, «ma senza adeguati fondi non possiamo farcela».
I dati di questo organismo, nato con la famosa legge Bossi-Fini, parlano da soli: per il 2006, secondo il Dossier Caritas sull’immigrazione, a fronte di 5.347 stranieri accolti nei progetti Sprar per richiedenti asilo, rifugiati o titolari di protezione umanitaria, ve ne sono stati altri 4.400 che, pur rientrando in una di queste categorie, ne sono rimasti fuori. Nel 2007, nei 2.500 posti messi a disposizione dagli enti locali sono transitati, per periodi da uno a 6 mesi, 6.284 stranieri, e altri stanno usufruendo degli 800 posti straordinari messi a disposizione dai Comuni per il periodo giugno-dicembre 2008. Il prossimo bando, che scadrà il 6 settembre, prevede 3mila posti l’anno per due anni, ma gli enti locali hanno già risposto alla richiesta di Maroni con altri 200 posti straordinari.
«Per dare una risposta adeguata al problema ne servirebbero almeno 5mila», afferma Di Capua, «soprattutto per aiutare le figure più vulnerabili, come i minori o le donne che hanno subìto traumi». Questi programmi, che prevedono un inserimento scolastico o lavorativo, corsi di italiano e quant’altro sia necessario per una buona integrazione, costano dai 16 ai 30 euro al giorno a persona. Una spesa che ha bisogno di essere sostenuta in modo più adeguato.
Nell’ultimo anno i 115 progetti Sprar attivati sono stati presentati da 102 enti locali, tra cui aumentano i piccoli Comuni: «Alcuni si muovono per un approccio solidaristico», afferma la direttrice, «altri perché vogliono entrare in rete e magari migliorare i propri servizi sociali grazie ai nostri corsi di formazione». Operando a livello nazionale, il Servizio di protezione non interviene direttamente nei singoli progetti, che sono per lo più gestiti da associazioni e organizzazioni del terzo settore: «Con loro abbiamo un rapporto strettissimo», conferma Daniela Di Capua. «Per noi sono preziosissime, conoscono il proprio territorio e sanno come comportarsi. E ne hanno chiare le esigenze, qualità indispensabile per permettere una buona integrazione dei rifugiati».
Ma la direttrice ci tiene a sottolineare anche i punti dolenti: «Nei Centri di accoglienza per i richiedenti asilo (i cosidetti Cara) le commissioni che si occupano di riconoscere lo status di rifugiato sono lente. Spesso queste persone ci vengono affidate in attesa che arrivi la decisione e per noi si tratta di una spesa in più. Le conferme dovrebbero essere molto più rapide. Inoltre non ha senso che colui a cui è riconosciuto lo status, poi possa finire in un Centro di identificazione ed espulsione (ex Cpt). Perché se si riconosce che quell’uomo, o donna, ha subìto dei traumi, poi lo si fa finire in una struttura detentiv,a dove soffrirà di nuovo, con lo scopo di “identificarlo”? Se la sua storia viene considerata vera, anche la sua identità deve necessariamente esserlo».
Non convince neppure l’impossibilità di rimanere in Italia per fare ricorso contro la mancata concessione della qualifica di rifugiato, decisa dal governo con il decreto sicurezza. «Ci riporta indietro di anni e va contro le direttive dell’Unione Europea», critica la direttrice. «Espellere una persona senza darle la possibilità di ricorrere in appello è anticostituzionale e pericoloso. Se fosse davvero meritevole di asilo, tornando in patria rischia di subire violenze. E allora sì che il ricorso sarebbe impossibile».

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