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adozioni, tutti i nodivenuti al pettine

polemiche Le ragioni della rivolta degli enti contro la commissione di Giovanardi

di Redazione

Sono settimane cruciali per le adozioni internazionali: la discussione sulle nuove Linee guida per gli enti autorizzati, approvate a luglio e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ha creato una preoccupante spaccatura tra i 70 enti autorizzati.
Due dei tre coordinamenti, Cea e Talenti, che insieme rappresentano una grossa fetta del sistema (30 enti su 70), hanno clamorosamente deciso di non presentarsi ai tavoli di consultazione con la Commissione adozioni internazionali, in segno di protesta contro la mancata apertura della Cai verso questioni giudicate sostanziali (sussidiarietà dell’adozione, metodo concertativo, sviluppo di una vision sull’estero). Di tutt’altro avviso il terzo coordinamento, Oltre l’adozione, che insieme ad altri enti singoli (in tutto 13 su 70) ha partecipato al tavolo di lavoro ed espresso solidarietà alla Cai. Le nuove Linee guida, secondo Oltre l’adozione, sono una sfida irrinunciabile verso un modello di ente di qualità, trasparente e professionalizzato. La frattura non comporta una ricaduta immediata sul sistema-adozioni (anche perché gli enti hanno un ruolo consultivo), ma certo segna un momento di estrema criticità in cui il nuovo presidente Cai, Carlo Giovanardi, dovrà farsi arbitro. In attesa di sviluppi, vediamo quali sono i “nodi” su cui si scontrano gli enti autorizzati.

La visione
Secondo Cea e Talenti va ribadito che il sistema italiano delle adozioni internazionali è fondato sulla sussidiarietà e sul ruolo primario degli enti autorizzati, soggetti alla vigilanza della Cai. Nel corso degli anni, sembra che la Commissione abbia assunto un ruolo più “dirigistico”, quasi che l’adozione fosse un servizio dello Stato “esternalizzato” agli enti. La richiesta è dunque di restituire alle associazioni il loro ruolo, attraverso un rilancio delle adozioni che definisca le strategie di sviluppo all’estero e aumenti l’efficienza della Cai. Secondo Oltre l’adozione, le Linee guida sono proprio il rilancio richiesto. Attraverso una griglia certa di regole, scritte all’insegna dell’etica dell’adozione, è possibile costruire un modello di ente autorizzato che rappresenti uno standard comune, abbattendo le criticità del sistema: mancanza di qualità e trasparenza, costi eccessivi, coppie non accompagnate all’estero, pagamenti non tracciati.

La regionalizzazione
Le Linee guida hanno stabilito che, invece dell’ipotizzata sede operativa in ogni regione, gli enti ne abbiano una in ciascuna delle cinque macro-aree in cui sarà suddivisa l’Italia. Questa indicazione, dicono Cea e Talenti, punta a un modello regionalizzato di derivazione pubblica la cui efficacia ed efficienza non è mai stata analizzata. La duplicazione di sedi rappresenterà un aggravio di costi e non andrà a ridurre le già lunghe liste d’attesa dell’adozione. Il tempo per adeguarsi a questo sistema sarà di due anni e, per contenere i costi, sottolinea Oltre l’adozione, sarà possibile stringere intese fra enti per formare le coppie in un’unica sede. La standardizzazione dei livelli di qualità farà sì che le coppie non abbiano più l’esigenza di spostarsi in altre regioni per essere seguite con professionalità.

La burocrazia
Certificazione Iso, bilancio certificato, dirigenza con almeno cinque anni di esperienza nell’adozione internazionale. Tutti adempimenti, spiegano gli enti in rivolta, che aggraveranno i costi senza puntare all’obiettivo di far uscire i bambini dagli istituti. La regola dei dirigenti esperti nelle adozioni, fanno notare, è in contrasto con il Codice civile e con la legge 266 sul volontariato che rende tutti i membri delle associazioni eleggibili. Non è infine con criteri più stringenti, dicono Cea e Talenti, ma con un reale esercizio dei suoi poteri di vigilanza che la Cai potrà rendere più efficiente il sistema. Questi adempimenti segnano una rivoluzione a 360 gradi verso qualità e professionalità, ribatte Oltre l’adozione. Le certificazioni sono un modo per formarsi e crescere sulla gestione, oltre che per azzerare eventuali passaggi di denaro poco trasparenti verso l’estero. L’esperienza di cinque anni nelle adozioni è una richiesta di ulteriore professionalità.

La cooperazione
Secondo la Cai un ente deve vantare almeno due anni di cooperazione allo sviluppo in un Paese estero, con una sede e un operatore espatriato, prima di poter diventare operativo per le adozioni internazionali. In questa richiesta, rilevano Cea e Talenti, non c’è alcuna visione strategica, solo l’ennesimo adempimento amministrativo. Non ci sono “buoni” che fanno cooperazione e “cattivi” che adottano i bambini, ma solo enti autorizzati che hanno come obiettivo il sostegno all’infanzia disagiata nel mondo. Ciò che farebbe la differenza sarebbe il potenziamento delle intese tra enti all’estero, in modo da instaurare una collaborazione diplomatica con i Paesi di origine dei minori. La richiesta di una presenza stabile dell’ente nei Paesi d’origine è una garanzia di sicurezza per il sistema, sottolinea Oltre l’adozione. Non è possibile avere la certezza dell’abbandono di un minore senza un apparato operativo in loco che conosca gli istituti. Questa indicazione della Cai preserva il sistema da quelle “agenzie dell’adozione” la cui condotta predatoria è ben nota.

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