S ilenzio. Credo che mai un appello al silenzio debba e possa essere condiviso da tutti. Silenzio e rispetto. Lo chiede l’arcivescovo di Milano, il cardinale Tettamanzi, pensando alla vicenda umana di Eluana Englaro e della sua famiglia. È una voce serena e di buon senso, carica di quella umanità che caratterizza da sempre il linguaggio dei cristiani che esprimono con forza le proprie convinzioni, ma rispettano la dimensione personale. Non sappiamo quanto a lungo resisterà il corpo di Eluana, ma penso che possiamo essere certi, dopo aver letto e ascoltato il pensiero di suo padre, che nessuno cercherà di farla soffrire inutilmente, anche quando la fine della sua esistenza dovesse avvicinarsi davvero. Possiamo essere ragionevolmente certi che a Eluana sempre e comunque saranno riservate le attenzioni migliori, la massima umanità possibile. Come è giusto. Ma tutto questo nulla ha a che vedere con la battaglia ideale che attorno al suo destino si è svolta in questi mesi contraddistinti anche da tante strumentalizzazioni. Ora basta.
Una cosa è evidente: il caso di Eluana Englaro è servito a dimostrare la drammatica carenza di norme chiare e il più possibile condivise attorno al tema del fine della vita. Di questo devono essere consapevoli tutte le forze politiche, ma anche gli intellettuali, i giornalisti, i tanti commentatori improvvisati attorno al corpo di una donna che non può rispondere. Inutile dunque e triste questo accanimento mediatico, e l’attesa che un evento improvviso chiuda a modo suo la vicenda umana di Eluana. Che si chiami testamento biologico o no, io vorrei che il modo migliore di ricordare per sempre Eluana sia quello di convergere in Parlamento attorno a un testo semplice e chiaro, che aiuti ognuno di noi a decidere per sé, parlando solo alla propria coscienza. Con o senza l’aiuto della fede.
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