G uardatela con attenzione, la signora della copertina. Si chiama Mary Jackson e vive a Reno (Nevada) nella tendopoli cresciuta con l’aggravarsi della crisi finanziaria. Mary non è disoccupata – fa lavori saltuari – e non è sola: ha un marito, Howard, che è un veterano e ha un impiego per sole 18 ore settimanali. Non potendo permettersi una casa in affitto, vivono in tenda, in uno di quelli che il cinismo dei media ha subito ribattezzato subprime village, dal nome dei mutui che hanno intossicato un po’ tutto il mondo. Negli Usa l’elenco delle città nei cui paraggi sono sorte queste city tent, si allunga di giorno in giorno. Oltre a Reno, a Seattle (nello Stato di Washington), a Fresno, San Diego e Los Angeles in California, ad Athens in Georgia, a Chattanooga (Tennessee), a Columbus (in Ohio)… Talvolta hanno persino un nome. La tendopoli di Seattle è Nickelsville dal nome del sindaco della città; quella di Ontario è chiamata Camp Hope. Un appellativo beffardo, se pensate che il campo della speranza è una specie di prolungamento della pista di decollo dell’aeroporto…
Quanti siano i subprime villages e quanti i coniugi Jackson, nessuno lo sa. Secondo alcuni sarebbero circa due milioni le famiglie americane insolventi che, nel 2007, si sono viste espropriare la casa. Per il 2008 si prevede che il loro numero salga a tre milioni. (M.R.)
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