Non profit
Piani di zona, atto terzo
Lombardia Stretta finale per lo strumento di programmazione del welfare locale
di Redazione
Famiglia, integrazione tra sociale e sociosanitario, rapporti con il terzo settore. L’assessore Boscagli illustra i pilastri su cui si baseranno le politiche sociali del prossimo triennio: «Il non profit viene considerato una risposta originale, efficace e nuova alle domande di salute, cura, istruzione e lavoro» S i stringono i tempi in Lombardia per l’emanazione delle nuove linee guida sui Piani sociali di zona. Concluse le consultazioni con i Comuni, le Asl e il terzo settore, la Regione si accinge ad apportare gli ultimi ritocchi al documento che ispirerà gli attori locali nella stesura della terza generazione dei piani. Un nuovo triennio, quello che si aprirà dal primo gennaio 2009, che fa tesoro dell’esperienza maturata nei due precedenti e che potrà contare su un quadro legislativo più stabile. L’anno che volge al termine è stato infatti l’anno dell’approvazione della legge regionale sul sistema integrato degli interventi e servizi sociali, la legge 3 del 12 marzo 2008. Una nuova regolamentazione che configura il piano di zona non solo come lo strumento della programmazione locale ma, soprattutto, come lo strumento attuatore dell’integrazione tra la programmazione della rete di offerta sociale locale e quella dell’offerta sociosanitaria distrettuale. La legge 3 punta a declinare l’integrazione in più direzioni: sanità, istruzione, formazione, politiche del lavoro e della casa. Senza dimenticare, anzi valorizzando, il contributo del terzo settore. «In Lombardia», spiega l’assessore regionale alla Famiglia e Solidarietà sociale, Giulio Boscagli , «questo comparto viene valorizzato come in nessun altro luogo perché viene considerato per quello che è. Non semplicemente il sostituto dello Stato quando lo Stato non riesce a rispondere ai bisogni ma, al contrario, una risposta originale, efficace e nuova alle domande di salute, cura, istruzione e lavoro».
Quattro i pilastri su cui poggerà il sistema sociale lombardo nel prossimo triennio: famiglia, integrazione tra sociale e sociosanitario, continuità e innovazione. Tre, invece, le conclusioni e i punti di sviluppo a cui giunge la bozza delle linee programmatiche: titoli sociali, forme di gestione associate, rapporti con il terzo settore. Quanto al primo aspetto, i titoli, la Lombardia punta al progressivo superamento del ricorso al buono per servizi che potrebbero essere trasformati in voucher, al fine di superare ad esempio l’utilizzo di buoni sociali per il pagamento di rette per la prima infanzia. L’orientamento di fondo è giungere a buoni di importo tale da poter realmente incidere sul bisogno e ampliare, inoltre, l’utilizzo del voucher per l’acquisto di servizi sociali a carattere diurno o residenziale. Stop, infine, a forme improprie di utilizzo del voucher – si legge nelle Linee guida – per l’acquisto di generi alimentari, prodotti farmaceutici e per l’infanzia.
Con il secondo obiettivo, le forme di gestione associata, la Regione mira invece a risolvere alcuni nodi: la sovrapposizione tra interventi programmatori e gestionali, la mancata produzione di economia di scala, l’adesione multipla a più forme di gestione associata (vietata, tranne nei casi obbligatori, dall’articolo 28 della Finanziaria 2008).
Terzo snodo centrale, i rapporti con il terzo settore. La parola d’ordine, si legge nella bozza delle Linee guida, è: attenzione. Attenzione alle modalità di consultazione dei soggetti che saranno coinvolti in tutto il processo di attuazione del piano di zona, dalla definizione della pianificazione e programmazione degli interventi all’individuazione di indicatori di processo e di risultato, alla valutazione in tutte le sue fasi (ex ante, in itinere, ex post).
Sussidiarietà, dunque, e innovazione. Per sostenere soprattutto le famiglie. «Per quanto riguarda l’innovazione», afferma l’assessore Boscagli, «ci siamo posti alcuni punti specifici a partire dalla promozione di azioni di sostegno al nucleo familiare, dalla tutela della vita in tutte le sue fasi e dal sostegno alla domiciliarità, attraverso la valorizzazione del lavoro di cura che viene svolto in famiglia».
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