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Corsi intensivi e mediatoribcosì funziona l’accoglienza

Viaggio alla scoperta delle best practice italiane

di Redazione

Dalla Lombardia alle Marche, sono moltissimi gli istituti che già ora aprono le porte agli studenti stranieri senza per questo stravolgere i programmi. Codini: «La periferia dimostra di essere più avanti del centro» E rano l’1,1% al giugno 1999. Oggi gli studenti stranieri sono il 6,4% della popolazione scolastica. Una percentuale destinata a crescere in futuro, come ha di recente confermato anche l’Istat.
Non si può dire però che, in questi anni, il pianeta scuola sia rimasto immobile: ha avviato iniziative specifiche per l’integrazione, adottato soluzioni elaborate in rete con altri soggetti, messo a punto protocolli. Una miriade di buone pratiche (nella sola Lombardia sono 1.058 i progetti per gli studenti stranieri). Come spiega Ennio Codini , professore d’Istituzioni di diritto pubblico alla Cattolica, «a livello locale spesso si è più avanti rispetto al centro: in periferia si ha modo di sperimentare di più. Invece che calare dall’alto proposte come quelle lanciate dalla Lega, sarebbe più costruttivo recepire le migliori pratiche valorizzandole». E fa un riferimento all’esperienza personale: «Nella primaria di mio figlio c’è il 25% di bambini stranieri, ma sono così ben seguiti, hanno genitori attenti e capaci di supportarli, che non c’è bisogno di fare alcun progetto specifico».

Il protocollo di Malnate
A Malnate (Varese) per esempio, le scuole (elementari e medie) sono in rete e collaborano da anni con l’associazione genitori. Insieme hanno messo a punto un protocollo di accoglienza. Cosa prevede? Una prova d’ingresso per accertare il livello di conoscenza della lingua italiana e diverse opportunità d’apprendimento. Anzitutto con l’ausilio di mediatori linguistici (operatori della cooperativa Educational team che supportano gli studenti in classe e fuori). In secondo luogo con docenti distaccati che lavorano all’interno della Reci (un’altra rete delle scuole della Valceresio). Il risultato è un’offerta graduata che parte da un insegnamento specifico di due ore al giorno nella prima settimana e che sfuma man mano che le competenze vengono consolidate. Nota bene: il protocollo può durare anche tutto l’anno. Inoltre, in ciascuna scuola sono realizzate iniziative interculturali. Per allargare l’orizzonte degli “indigeni” e coinvolgere le mamme straniere.

Il modello peer to peer
Anche alla direzione didattica di San Benedetto Po, in provincia di Mantova (tre primarie e una scuola dell’infanzia), si ricorre al mediatore culturale (interviene, se serve, anche ai colloqui con i genitori) e a un intervento diversificato. Per gli studenti stranieri (più del 25% della popolazione scolastica), corsi intensivi della lingua italiana se sono alle medie (10 ore settimanali: per l’orario rimanente stanno in classe); compresenza di più docenti se alle elementari. I ragazzi trovano un’utile sponda nei compagni provenienti dagli stessi Paesi, che fanno da tutor “peer to peer”, cioè alla pari, ai neo-arrivati. Doppio il risultato: si responsabilizzano i primi e si sostengono i secondi. Quanto alla formazione dei docenti, l’istituto è fra i 30 scelti dalla Fondazione Cariplo per il progetto Interculture (che punta a valorizzare le buone pratiche che promuovono il lavoro in rete).

Per le seconde generazioni
A Jesi, la percentuale di studenti di origine straniera è contenuta (si attesta al 6%). Sono per lo più ragazzi di seconda generazione. Diverse quindi le sfide educative e le soluzioni adottate dall’istituto comprensivo Lorenzo Lotto (cinque scuole tra infanzia, primaria e medie), dove si è scelto di puntare sul coinvolgimento delle famiglie e sulla rete fra istituti scolastici. È stata messa a punto una modalità di accoglienza e di inserimento in classe con l’aiuto di mediatori culturali (che danno un sostegno anche in occasione delle comunicazioni ai genitori). Soprattutto però i docenti hanno deciso di lavorare servendo di unità didattiche non “eurocentriche”, costruite tenendo conto dei punti di vista di culture diverse. Quanto all’italiano anche qui corsi intensivi: 15 giorni di lezioni, due volte l’anno (a giugno e a settembre), tenute dai professori interni. In pratica a costo zero.

Volontariato e flessibilità
All’istituto tecnico Pacioli di Crema (che da due anni certifica ufficialmente la conoscenza dell’italiano per l’università o le imprese), gli iscritti d’origine straniera sono meno del 10%. Si tratta comunque di una pattuglia di 130 studenti (sui 1.500 dell’intera popolazione scolastica). Per quanti di loro ne hanno bisogno, c’è un corso d’italiano (tenuto da due volontari, docenti in pensione). In contemporanea sono provvisoriamente inseriti in classe (spesso in prima). Qui si individuano i deficit e si riconoscono i crediti, ovvero le conoscenze acquisite nelle precedenti esperienze scolastiche. Quando avranno colmato i deficit (anche con l’ausilio di compagni che svolgono un tutoraggio “peer to peer”), i neo-iscritti cambieranno classe e raggiungeranno quella che gli spetta per età e preparazione complessiva.

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