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Fuoco in CongobL’Africa teme buna nuova ecatombe
allarmi Rischia di riaccendersi la guerra mondiale africana
di Redazione

Il generale dissidente Laurent Nkunda ha ripreso le ostilità contro l’esercito governativo. Nelle stesse ore si è dimesso il capo dei Caschi blu della missione Onu. «Mai come in questi giorni si sente la guerra che arriva», confida il coordinatore del Coopi, Eugenio Balsini. E intanto scoppia l’emergenza sfollati: oltre 250mila da agosto ad oggi « L ‘ esercito del generale Nkunda è a una ventina di chilometri da qui, anche se per il momento sembra difficile che possa entrare in Goma». «I ribelli hanno quasi raggiunto il campo profughi di Kibumba, che si è svuotato, la gente è riparata in un altro accampamento vicino». «Adesso sento degli spari, la radio delle Nazioni Unite dice che sono evasi dei detenuti dalla prigione». Sono ore concitate a Goma, la capitale del Kivu, la regione più ricca (di oro, petrolio e coltan) e più dannata dai conflitti della Repubblica democratica del Congo. A raccontare cosa succede, via internet, è un cooperante italiano, il coordinatore regionale di Coopi, Eugenio Balsini che poi Vita riesce a raggiungere al telefono. «Sono qui a Goma dal 2004 e mai come in questi giorni si sente la guerra che arriva. Oggi tutti i negozi sono chiusi, c’è l’aria ferma come in attesa di qualcosa di grosso che stia per accadere».
Un governo da combattimento
Rischia di riaccendersi davvero la guerra mondiale d’Africa, definita così per il numero impressionante di vittime, oltre cinque milioni, e che dura, con pause più o meno brevi, da 14 anni. Il generale dissidente Laurent Nkunda ha ripreso a combattere contro l’esercito governativo, proclamando di voler proteggere i tutsi congolesi dai ribelli ruandesi hutu delle Forze democratiche di liberazione del Ruanda (Fdlr), presenti nel Nord Kivu dagli anni 90. segnali in Kivu sono i peggiori degli ultimi tre anni e si susseguono veloci uno dopo l’altro. Nel week end del 25/26 ottobre, Nkunda ha conquistato la base militare di Rumangabo, nei pressi del confine con l’Uganda, e annunciato di voler marciare su Goma. E proprio mentre l’Est del Congo è ancora in fiamme, il 27 ottobre è risonato uno dei campanelli d’allarme che fa capire che non si tratta di uno dei soliti conflitti “a bassa intensità” che si sono susseguiti dalla firma dell’accordo di pace dello scorso gennaio a oggi: si è dimesso il capo dei Caschi blu dell’Onu in Congo, lo spagnolo Vicente Diaz de Villegas, in carica da neanche da un mese. Un fatto che è stato subito letto come un’ammissione di fallimento da parte della Monuc, che con i suoi 18mila uomini è la più grande missione di peacekeeping Onu attualmente schierata in un Paese, e costa un miliardo di dollari l’anno ma che è sempre più accusata di non riuscire a proteggere la popolazione.
Nello stesso giorno, dai palazzi governativi di Kinshasa, a migliaia di chilometri di distanza, proprio durante la crisi nell’Est, il presidente Joseph Kabila ha presentato un nuovo governo, definendolo «una squadra da combattimento a cui sono state assegnate le missioni principali di sicurezza e di ricostruzione». «Ma visto da qui, il rimpasto in un momento di crisi denota invece inabilità e debolezza del governo, non solo sul terreno ma anche a Kinshasa», nota il coordinatore di Coopi.
Fuggire senza una meta
Il risultato immediato della ripresa degli scontri nel Kivu sono migliaia di persone che, una volta ancora, sono costrette a raccogliere le proprie cose e a fuggire dai soldati, per andare non si sa bene dove. «Nella zona a nord di Goma c’è gente che fugge per la sesta volta in un mese», afferma Claudio Pontiroli di Medici senza frontiere, appena tornato dal Kivu. «Non ci sono grandi campi organizzati e gestiti da agenzie umanitarie. Scappano in tutte le direzioni, alcuni fuggono nei villaggi più vicini, altri nella foresta. A Kichanga, dove opera il nostro staff di medici, ci sono due campi con 18mila persone che non ricevono aiuti alimentari dallo scorso aprile». L’Onu stima che siano 250mila i civili rimasti senza casa dalla fine di agosto, che si vanno ad aggiungere agli altri 1,2 milioni già registrati nella regione. Epidemie di colera e diarrea hanno ucciso decine di persone nei campi, spesso improvvisati.
«A Goma sono presenti moltissime agenzie delle Nazioni Unite e organizzazioni non governative, ma quando si esce e ci si avvicina alle zone dove le persone in fuga dal conflitto sono radunate, spesso siamo l’unica organizzazione presente», afferma Pontiroli di Msf. C’è chi prova a resistere: «Alcuni membri del nostro staff sono dall’altro lato della linea del fronte, lontani e al sicuro, ma isolati», scrive da Goma Edoardo Tagliani dell’ong Avsi, che assiste 35mila bambini sfollati nei campi profughi. «Qui per ora continuiamo a lavorare e ogni tanto facciamo una telefonata per esser sicuri che nessuno manchi all’appello».
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