Non profit
Congo, il mondobnon faccia l’ipocrita
Lavora laggiù a Kimbau, dove è referente Aifo, da 18 annibcome volontaria. Per «Vita» ha scritto questo intervento. bPer dire come stanno davvero le cose
di Redazione

F a comodo far credere che sia una guerra civile, quando è una guerra di saccheggio delle risorse in cui Laurent Nkunda e Paul Kagame sono semplicemente i burattini di turno dei burattinai del Nord del mondo. Quando, poche settimane fa, è stato ingiunto a Nkunda di riprendere le armi e di mettersi di nuovo in marcia verso Kinshasa, la storia di 12 anni fa è ricominciata: allora, nell’ottobre del 1996 era scoppiata la prima guerra del Congo con l’obiettivo di rovesciare il dittatore Mobutu. Se la comunità internazionale non interviene in tempo per arrestare questa marcia (ma forse è meglio scrivere «se gli interessi del Nord non smettono di armare Nkunda e di sostenere politicamente e militarmente Kagamé»), l’epopea di Nkunda e dei suoi miliziani rischia di ripetere l’epopea di Kabila padre e dell’Alleanza delle forze democratiche per la liberazione del Congo nel 1996: allora però c’era ancora il pretesto di una dittatura da abbattere, mentre adesso si tratta in un governo che, con tutti i suoi limiti, è stato liberamente eletto con regolari elezioni democratiche.
Se non sappiamo raccogliere e riscoprire nella sua immutata attualità la denuncia formulata allora da monsignor Christophe Munzihirwa, vescovo di Bukavu, che venne ucciso nel 1996 proprio per aver identificato i veri mandanti internazionali di quella “balcanizzazione” del Congo che si voleva allora far passare come una “guerra di liberazione” da un dittatore malato di cancro terminale, saremo condannati a rivivere quei massacri di 12 anni fa. Allora come oggi è una guerra economica, sicuramente strumentale agli interessi strategici del Nord del mondo e, come tutte le guerre, inutile e combattuta contro i più poveri, che ne furono e ne sono tuttora le vere vittime.
Le milizie di Laurent Nkunda armate da Kagame e dal Nord del mondo proseguono indisturbate la loro azione militare, oggi contro Goma, domani forse contro Kinshasa. È la storia di una guerra infinita che si riaccende in fuochi devastanti su braci mai definitivamente spente. Perché troppi burattinai continuano a soffiarci sopra.
La guerra si è di nuovo accesa nel “cuore delle tenebre” laddove i microfoni e le telecamere non giungeranno mai. Laddove l’ignoranza o il silenzio complice hanno permesso la morte in dieci anni di 5 milioni di civili, di cui almeno 400mila uccisi da colpi di arma da fuoco, gli altri sterminati dalla fame e dalle epidemie dilaganti nei campi rifugiati o nelle foreste dove le milizie armate delle differenti fazioni in campo continuavano a respingerli.
Secondo le cifre dell’International Rescue Committee, l’ong americana che ha cercato di quantificare i morti nella regione, la guerra che martirizza le popolazione dell’Est della Repubblica democratica del Congo fin dal 96 è il conflitto in assoluto più sanguinoso in termini di vite umane di civili dopo la seconda guerra mondiale.
La guerra del Congo è un lento genocidio, un massacro a “bassa intensità”, che lascerà cicatrici profonde nella memoria storica delle popolazioni dei Grandi Laghi. Ben presto però vedremo questo genocidio silenzioso reinquadrato nell’eterna lettura strumentale dell’Africa come il continente nero violento e selvaggio. Una semplificazione che impedirà di leggere la complessità del conflitto e delle forze in campo e soprattutto degli interessi di chi nel Nord ricco produce le armi (non si fabbricano armi in Africa!), per venderle a peso d’oro, anzi di coltan, dove il mercato illegale di armi ha moltiplicato le milizie e i pretesti per la violenza contro popolazioni inermi.
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