R accontare e dissetare racchiusi in un unico termine, Rawa , il titolo dell’ultima opera di Massimo Jevolella (Il verbo arabo rawâ vuol dire al tempo stesso “raccontare” e “dissetare”). Il libro è un piccolo gioiello che nelle mani del lettore richiede inevitabilmente meditazione e fedeltà. Il pellegrino, nel racconto, rivolge al compagno di viaggio il suo sguardo per trasmettere una speranza che sia in grado di alleviare il peso che grava su di lui (e su di noi, chiaramente), causato dalle false identità che ci imprigionano. Sono racconti in cui il senso della parola diventa quello di toglierci di dosso almeno un grammo della nostra infelicità: lungo il cammino il pellegrino prospetta una via mistica della conversione del cuore, la via del silenzio che conduce all’unione con Dio nel volo dell’assoluta libertà interiore, come le rondini che attraverso la loro libertà rinascono. L’eterno misteriosamente comunica col tempo e possiamo conoscerlo solo liberandoci di tutte le nostre speranze e paure. Vengono percorse tre strade e saliti tre gradini, si è condotti attraverso la storia delle torri di Babele, si passa dalla fossa dei leoni per toccare infine la scala celeste che conduce in alto, delineando quella ricerca individuale che ogni persona percorre secondo le proprie necessità interiori e che non pretende di distinguere tra i diversi credi ma anzi accosta le tre grandi rivelazioni per coglierne la prossimità. Così i racconti e le riflessioni di Rawa donano un cammino lontano da quello del fanatismo. Prospetta la via che insieme andiamo cercando e che molti si divertono a chiamare, «per scherzo e gioco», islamica, cristiana, giudaica ed altro ancora, quando semplicemente si può definire come via senza nome.
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