Mondo

Caro Obama, metti bl’Africa sottosopra

focus Cosa può fare il neopresidente per il continente nero

di Redazione

Il voto Usa ha scatenato grandi attese. Ma i primi a subire gli effetti della crisi mondiale saranno proprio gli africani. A meno di rovesciare certi stereotipi. Come insegna un film I n Africa in questi mesi sono tutti euforici per la vittoria di Barack Obama. È comprensibile e fa davvero piacere avendo il nuovo “Numero Uno” della Casa Bianca sangue dell’etnia Lwo da parte paterna. L’arrivo di Obama alla Casa Bianca in questa prospettiva ha più un significato interculturale che politico nelle relazioni tra il Nord e il Sud del mondo. Detto questo bisognerà vedere concretamente, alla prova dei fatti, cosa farà il nuovo presidente Usa per aiutare il continente africano. Ad esempio, Obama continuerà a procrastinare nel tempo il “bilateralismo” tanto caro ai suoi predecessori (Bill Clinton e George W. Bush), in aperta concorrenza nei confronti di quello destrutturante di marca cinese?

Piatto ricco…
Il rischio, inutile nasconderselo, è quello di una sorta di parcellazione dell’Africa che riproporrebbe il clima della “guerra fredda” caratterizzato dal controllo straniero delle cosiddette aree d’interesse strategico legate alle fonti energetiche e minerarie. A differenza però del passato, in cui a dettare le regole del gioco erano gli Stati Uniti e l’ex Unione Sovietica, oggi il pericolo è quello di una frammentazione dello scenario geopolitico. Il motivo è semplice: in questi ultimi tempi, gli attori internazionali presenti in Africa sono molti di più: oltre a statunitensi, russi e cinesi, ci sono sul campo gli indiani, i giapponesi, i Paesi arabi, per non parlare delle ex potenze coloniali, Francia in primis. Insomma, quello che voglio dire è che gli “appetiti stranieri” costituiscono un fattore altamente destabilizzante per il continente, proprio come sta avvenendo in questi giorni nella regione congolese del Kivu, ricchissima di risorse minerarie.

Ma il piatto piange…
E cosa dire della crisi finanziaria internazionale che sta determinando una forte contrazione dei fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo? Vi è poi la questione della cancellazione del debito estero contratto dai Paesi africani, unitamente al rilancio di una “governance” equa e solidale, rispettosa della dignità dei popoli africani. Una questione tanto più cruciale oggi con questa crisi finanziaria che viene vissuta come un problema solo e unicamente del Primo mondo.
In effetti il fenomeno sta avendo delle gravi ripercussioni anche in Africa dove gli aiuti stranieri oscillano, a secondo dei Paesi, tra il 20 e il 40% del bilancio. Qualcuno potrebbe ingenuamente pensare che l’arretratezza del sistema creditizio africano abbia provvidenzialmente impedito al continente di cadere nella trappola dei titoli “tossici” di Wall Street. In effetti le cose non stanno proprio così se si considera che in questi anni sono stati i Paesi in via di sviluppo, e dunque anche quelli africani, a sostenere il sistema bancario e finanziario internazionale. Basterebbe fare la somma degli interessi sul debito estero pagati da questi governi, unitamente alle scarsissime entrate delle materie prime e delle esportazioni più in generale, per comprendere che sono stati in gran parte proprio loro a mantenere in piedi un sistema fallimentare. Ma c’è un dato ulteriore che ci deve far pensare. Stando ai dati pubblicati sul bollettino trimestrale della Banca dei regolamenti internazionali di Basilea, alla fine del giugno scorso risultava che i titoli derivati Otc ammontavano a 600mila miliardi di dollari. Una cifra abnorme, specie se rapportata a un dato come quello del Pil complessivo dell’Africa subsahariana che un anno fa ammontava a 990 miliardi di dollari: cioè mille volte inferiore alla massa dei derivati in circolazione per il mondo.

Cosa potrà fare Obama?
Non ci si può fare troppe illusioni. Ma per non finire vittime del fatalismo suggerisco a tutti il paradosso proposta da un bellissimo film. Si tratta di Africa Paradis (“Paradiso Africa”) del beninese Sylvestre Amoussou, presentato nel febbraio del 2007 al Fespaco – Festival panafricain du cinéma et de la télévision de Ouagadougou, la biennale del cinema africano svoltasi nella capitale burkinabé. Una visione sicuramente fantapolitica, all’eccesso, ma che comunque ha colto il favore della critica. L’Europa è diventata un continente invivibile, lacerato da guerre, disoccupazione e povertà. Un nuovo Medio Evo in cui i bianchi fanno la coda per ottenere il visto per l’Africa, continente ricco e rigoglioso, nel quale le famiglie vivono immerse nel lusso sfrenato, i figli studiano nelle migliori università e fanno carriera. Ma convincere i funzionari afro non è semplice. C’è chi, tra i bianchi, è disposto a pagare per essere traghettato di nascosto nel nuovo paradiso, dove l’immigrazione è rigidamente controllata. Il lungometraggio presenta un mondo capovolto in un’esilarante parodia-satira dell’oggi che per certi versi ha il sapore della soap e del fotoromanzo. Sta di fatto che questo mondo alla rovescia di Amoussou lancia a modo suo un messaggio positivo, prefigurando nel “meticciato” il futuro dell’umanità. Una concezione del “villaggio globale”, incentrata sulla fraternità universale, dove dritto e rovescio possano avere pari dignità. Per questo occorre vigilare affinché ognuno, in Africa e nel cosiddetto Primo mondo, si assuma la propria parte di responsabilità. Obama allora, dato che è entrato nella sala dei bottoni del mondo, dove si decidono le sorti dell’umanità, per favore, sia il primo a dare il buon esempio!

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