Ritals. Così ci chiamavano, neanche tanto tempo fa, i francesi. Era il termine dispregiativo con cui i cugini d’oltralpe indicavano i nostri migranti. Sovente clandestini. Siamo stati ritals e, come ci ricorda Gianmaria Testa nella canzone omonima, «lo sapevamo anche noi l’odore delle stive, l’amaro del partire, l’onta del rifiuto». Lo sapevamo, ma in questi giorni si ha la netta impressione che l’abbiamo dimenticato. E allora anche qualche canzone può servire da promemoria. O da colonna sonora per giorni in cui il fragore dell’ideologia rischia di farci perdere di vista il nostro destino di eterni “viaggiatori viaggianti”. Qualche consiglio, da ripescare sugli scaffali dei negozi di dischi. Gianmaria Testa e il suo Da questa parte del mare, undici canzoni (tra cui la citata Ritals) tutte dal punto di vista di chi è costretto a partire. E poi i migranti lacustri di Davide Van Des Froos di E semm partì (cari leghisti, ascoltatelo con attenzione…), le struggenti Lettere migranti dei Radicanto, il raffinato meticciato dei Radiodervish di Amara terra mia (tratto da uno spettacolo teatrale con Giuseppe Battiston)… La canzone non ha la memoria corta. E la politica?
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