Mondo

Chi affonda l’Africa

Un documento dell'Osce denuncia la situazione in cui rischiano di precipitare i Paesi in via di sviluppo se la comunità internazionale viene meno agli impegni. Mentre l'Agenzia Onu per la lotta all'Aids lancia l'allarme: il 48% degli aiuti viene dai Paes

di Redazione

Una cartella e tutto è detto. Agli analisti dell’Osce, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, è bastata una pagina formato A4 per riassumere la situazione drammatica in cui rischiano di precipitare i Paesi del Sud del mondo «se la comunità internazionale non manterrà gli impegni presi nel passato per lottare contro la povertà e promuovere lo sviluppo nei Paesi poveri».
Il rapporto del Dac, il Comitato di aiuto allo sviluppo dell’Osce, pubblicato il 6 marzo scorso, parla chiaro: «La crisi economica e finanziaria scoppiata nei Paesi sviluppati sta ormai colpendo i Paesi in via di sviluppo». Tra i segnali inquietanti ci sono i freni imposti «alla crescita e agli scambi, il crollo dei prezzi di esportazione delle risorse naturali, la diminuzione delle rimesse dei migranti e il blocco dei flussi d’investimenti».

L’Onu sotto scacco
La crisi economica rischia di mettere sotto scacco uno dei fondi più “sicuri” del mondo Onu. «What countries need. Investments needed for 2010 targets» è il titolo del rapporto pubblicato nel febbraio scorso in cui Unaids, il Programma Onu per la lotta all’Aids, ricorda che «dietro ogni dato statistico c’è un volto umano». Sino ad oggi, i dati finanziari sembrano aver giocato a favore di un programma chiamato ad affrontare per il 2010 sfide titaniche, tra cui l’accesso di 6,7 milioni di esseri umani ai farmaci antiretrovirali e il supporto a sette milioni di orfani. «Nel 2008 abbiamo potuto contare su 13,7 miliardi di dollari», sottolinea il rapporto, «ma i bisogni stimati per raggiungere gli obiettivi prefissati nel 2010 ammontano a 25,1 miliardi di dollari», di cui 11,7 miliardi per la prevenzione e 7 per i trattamenti. Domanda: come sfidare in tempi di crisi economica una malattia che colpisce soltanto in Africa due milioni di persone ogni anno? Per ora la risposta non c’è. Rimane invece una speranza, quella per cui «nessuno dei Paesi donatori ha sino ad ora comunicato la sua intenzione di tagliare i fondi dei programmi Hiv».
Ma il problema è un altro. Oggi il 48% dei finanziamenti destinati alla lotta anti Aids provengono dagli Stati del Sud del mondo. «L’attuale crisi», ammonisce Unaids, «rischia di spingere alcuni governi a risparmiare sulle spese socio-sanitari». Per Paesi come il Botswana, dove le spese nazionali a favore della lotta all’Aids sono superiori rispetto a quello che gli attori locali (società civile, istituzioni, università etc.) ricevono dall’estero, i rischi più forti si verificheranno dopo che il governo sarà costretto a esercitare tagli pesanti sulla spesa pubblica.

Troppi sperperi
Strategie alternative dovranno quindi emergere per fronteggiare la peggior crisi economica del secondo dopoguerra. Tra queste c’è chi affida il destino del Sud del mondo nelle mani dell’Occidente e soprattutto nella capacità degli attori impegnati nella lotta contro la povertà a razionalizzare la gestione dei fondi allocati nei Paesi poveri. «Su scala mondiale» ricorda il rapporto del Dac, «si contano 225 organismi bilaterali e 242 organizzazioni multilaterali che ogni anno finanziano oltre 35mila progetti. In 24 Paesi, 15 donatori, se non di più, forniscono nell’insieme meno del 10% dell’aiuto complessivo consentito a ognuno di loro. I costi di transazione rimangono enormi e potrebbero essere ridotti se i donatori si decidessero a condurre azioni più coordinate fra loro».
Un giudizio condiviso dal mondo delle ong. «Troppi soldi vengono sperperati per via dei dissensi profondi che sul terreno sussistono tra i donatori, se non addirittura tra le ong», confida Arnaud Zacharie, segretario generale del Cncd, il centro di coordinamento delle ong belghe francofone. «La sete di protagonismo non fa bene a nessuno». E nemmeno l’avarizia. «Nell’ultima conferenza sulla finanza per lo sviluppo che si è tenuta a Doha nel dicembre scorso», spiega Philippe Gérard, consigliere del ministro della Cooperazione belga Charles Michel, «alcuni governi europei hanno fatto sapere di non poter mantenere gli impegni», ovvero stanziare lo 0,51% del Pil entro il 2010 e lo 0,7% entro il 2015.

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