Welfare
Ma anche l’ayatollah lascia il passo a Zoroastro
Una leadership religiosa, un'anima molto laica
di Redazione

Accade ogni anno, per la festa di primavera, la festa nettamente più importante del Paese. Sono 15 giorni di festa che nulla hanno a che vedere con la rivoluzione di Khomeini.
È la festa del Noruz, il giorno nuovo, che affonda le proprie radici nello zoroastrismo. E che svela un Paese molto diverso da quello immaginato: poco islamico, molto alla moda.
In cui anche la leadership religiosa
fa i conti con il passato laico…di Sara Hejazi
Tutto ha avuto inizio da una parola in persiano, pronunciata con orgoglio in un’occasione particolare: vatan, patria. Un concetto carico e imponente e che, soprattutto per chi vive all’estero, assume un significato del tutto particolare: nostalgia, rimpianto, orgoglio, ambizioni, identità…, vatan, appunto.
Una parola, mille significati e altrettante domande. Innanzitutto, mi chiedo io, chi sta alla guida del vatan, (nel caso iraniano il clero sciita) la costruisce a propria immagine e somiglianza, oppure, ad un certo punto, vatan diventa espressione del popolo, dei suoi gusti, delle sue tendenze e, soprattutto, mi chiedo ancora, se di vatan si parla tra gli immigrati all’estero, se si parla di un vatan diverso rispetto a quello originale, in questo caso la Repubblica islamica di Iran? Insomma, anche alla “patria” accade quello che vive il protagonista pirandelliano di Uno, nessuno e centomila? Uno, nessuno e centomila vatan?
Che le leadership, anche quelle più monolitiche, religiose e apparentemente immutabili siano in realtà il frutto di una costante negoziazione tra gusti e tendenze del popolo e pratiche politiche dall’alto è particolarmente evidente nel caso iraniano: una Repubblica islamica che, lo dice il nome stesso, è un Paese il cui leader è una guida religiosa suprema (ayatollah Khamenei), erede dello stesso carismatico Khomeini che andò al potere con la rivoluzione islamica; l’Iran è inoltre tra i pochi Paesi musulmani al mondo il cui diritto legislativo è per intero regolato dalla shar’ia, la giurisprudenza musulmana.
Ebbene, proprio in questa repubblica, l’unica festa universalmente celebrata e per cui l’intera nazione si ferma per due settimane consecutive è una festa laica, pre islamica, e che nulla ha a che fare con la rivoluzione del 1979: il Noruz, il giorno nuovo, che affonda le proprie radici nello zoroastrismo, la religione iranica che precedette i grandi monoteismi della storia.
Così, per tutto il periodo che precede il solstizio di primavera, che cade attorno al 21 di marzo, le case degli iraniani si riempiono di simboli antichissimi e laici che richiamano il risveglio della natura dopo la fine dell’inverno. Non vi è Ramadan o liturgia religiosa che possa superare la portata del Noruz in un Iran rapito da festeggiamenti “pagani”, come quello che avviene durante il chahrshambè suri, il salto del fuoco, in cui ci si esibisce in grandi salti sopra i falò accesi nei cortili, con la speranza che il potente elemento del sole tolga il pallore invernale e ridoni il colore della vita alle persone.
Come ogni anno in questa occasione mi sono recata al consolato per fare gli auguri ai miei connazionali e per gustarmi lo spettacolo che la Repubblica islamica ha preparato per gli iraniani in Italia. Lo spettacolo è iniziato con una preghiera, perché, ricordiamo, si tratta della rappresentanza di una “leadership islamica”. Poi però tra cabaret, comici e cantanti, l’elemento religioso è andato scemando? O addirittura scomparendo; lo stesso è successo ai foulard colorati che coprivano le chiome delle donne ma che verso fine serata erano per lo più spariti nelle borsette.
Ed ecco, ad un certo punto, un uomo che dal pubblico si alza e si avvia verso il palcoscenico. Prende il microfono e intona con voce profonda un canto intitolato Vatan, “alla mia patria”. Un canto nostalgico e straziante, che fa commuovere alcuni e che provoca una “standing ovation” in tutto il teatro.
Ma non si è trattato solo di sublimi nostalgie: c’era anche una band di giovani e aitanti ragazzi arrivati apposta da Teheran, che ricordavano i Take That: bravi e bellissimi e che ballavano anche bene. Che strano, però – pensavo – che la musica in pubblico fosse proibita in Iran! E invece eccola la mia vatan, poco islamica, molto alla moda, porgerci un augurio laico per mano di una leadership islamica.
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