Welfare

Che leader d’Egitto

Un dialogo improvvisato su Nasser e Mubarak

di Redazione

«…sono d’accordo con te, ragazza», dice il tassista che mi sta portando a Gamal abd el Nasser street. «Ai tempi di Nasser le signorine mettevano bellissimi abiti all’occidentale,
gli occhiali da sole come Marilyn Monroe, il cinema era bellissimo,
la gente amava la nazione?»di Randa Ghazy
L«Gamal abd el Nasser street, vicino a Cookie Man»”
«Venti lire»
«Come venti? Ma se la faccio tutti i giorni, e non pago mai più di dieci!»
«C’è traffico»
«Ma non è vero! E poi può prendere il lungomare!»
«Venti o niente»
«Quindici»
«Venti»
«Dieci!»
Ride, sputa per terra e dice: «Venticinque e ti lascio prima del ponte»
«Si vergogni, rabbena ie samhak!»
Mi allontano, lui sgomma via e mentre tossicchio si ferma un altro taxi.
«Miami, Gamal abd el Nasser street»
Mentre entro do un’occhiata al rivestimento leopardato dei sedili e sorridendo annuncio: «Però non più di dieci»
«Quindici»
«Dodici»
«Ok»
La malconcia e antiquata autoradio trasmette la canzone sguaiata di qualche nuovo cantante popolare, un certo Shaaban che ha fatto impazzire tutti gli egiziani con la sua hit «I hate Israele!».
Il tassista, un uomo sui 60 anni dal viso solcato da rughe profonde e con un paio di baffi grigi, mi chiede: «Ti piace o ti dà fastidio?»
«No, no, nessun problema»
«Allora ti piace?»
Mi squadra con i suoi occhi verdi e profondi. Penso che il mio aspetto straniero lo insospettisca.
«Beh, “Io odio Israele” non mi sembra un gran titolo?»
«Perché, tu non lo odii?»
«No. Ma sono per l’autonomia palestinese»
«Ce l’avrebbero avuta, se Nasser avesse vinto quella dannata guerra!»
«La Guerra dei sei giorni?»
«Sì, quella maledetta guerra! Ma Nasser ha sbagliato tutto! E ora Mubarak non può più fare nulla, era quello il momento giusto!»
«Beh. non direi che Mubarak non possa fare nulla. È pur sempre il presidente. Perché non appoggia concretamente i palestinesi, anziché chiudere le frontiere di Rafah?»
«Mubarak non vuole farci soffrire, non l’hai sentito quando ha detto che non è più il tempo delle guerre e che l’Egitto non combatterà più per nessuno?»
«Mi vuole dire che ha votato Mubarak?»
Scoppia a ridere, scuote la testa divertito e borbotta:
«Macché, nessuno lo vota davvero»
«Beh, uno che vince con l’80 o il 90% dei voti qualcuno l’avrà votato, no?»
«Mettiamola così. Nasser il posto se l’è guadagnato facendo la rivoluzione ed eliminando i potenziali avversari. Mubarak se lo prende reprimendo le rivoluzioni. Con finte elezioni e tutto. Entrambi non sono democratici? Sì, forse sì. Ma a te la scelta»
«Nasser tutta la vita. È un uomo che ha fatto sognare. Uno che nazionalizza il canale di Suez e dà uno schiaffo morale a due giganti come l’Inghilterra e la Francia colonialiste. Uno che ha tentato una riforma agraria, che ha redistribuito, che ha cercato di sperimentare un socialismo indipendente, che si è messo al di sopra della guerra fredda fondando il non allineamento con Tito e Nehru? Mubarak invece cos’ha fatto? Consegnato il Paese in mano alle privatizzazioni e arricchito i già ricchi»
Il tassista non ci sta: «Nasser però ha anche sbattuto molta gente in galera, fatto una guerra stupida nello Yemen, inventato una fusione con un Paese come la Siria che non ci teneva per niente?»
E io: «Ma perché lui credeva nel panarabismo! Voleva unire gli arabi!»
Il tassista scuote la testa con un sorriso che sembra dire «No no ragazza, proprio non ci siamo…». E poi, dopo aver scansato per un pelo un carretto trainato da un cavallo e un gruppo di studentesse velate che attraversavano la strada correndo, ferma la macchina dal benzinaio e prima di scendere si volta e mi dice:
«Ricordati questo detto, ragazza mia, perché non c’è niente di più vero: “Unire gli arabi è come sommare due zeri: si ottiene sempre e comunque solo un altro zero”».
Mentre mette benzina, rimugino immusonita su quello che mi ha detto: le foto di Nasser ancora sventolate nelle manifestazioni in tutto il mondo arabo, la nostalgia per il passato e la mancanza di democrazia attuale mi avevano fatto credere che il vecchio presidente fosse venerato da tutti.
Ma forse in fondo gli egiziani non hanno ancora avuto il presidente che si meritano. O chissà. La portiera si apre, il tassista sale e mi allunga una sigaretta. Lo ringrazio, rifiuto, e gli chiedo subito:
«Cos’ha fatto di buono Mubarak? Voglio dire, cos’è che ha fatto lui che Nasser non ha fatto?»
«Più partiti, libertà di stampa, ha represso l’estremismo?»
«Certo, ma anche aumentato la disuguaglianza sociale ed economica, aumentato i debiti verso gli Stati Uniti?»
«?e fatto dieci passi indietro. Sono d’accordo con te, ragazza? guarda quanta ignoranza, quante barbe lunghe, quanti visi coperti? ai tempi di Nasser le signorine mettevano bellissimi abiti all’occidentale, gli occhiali da sole come Marilyn Monroe, il cinema era bellissimo, la gente amava la nazione? c’era senso patriottico, rispetto per tutti. Ma oggi, come vedi, camminiamo all’indietro»
«E la colpa di chi è?»
«Di tutti e di nessuno? forse dovremmo smetterla di rimurginare sul passato e rimboccarci le maniche. Mubarak prima o poi lascerà, e incomincerà una nuova era?»
«Sì, ma sono quasi trent’anni che non vuole lasciare? cosa la fa essere così ottimista?»
«Il fatto che, come si dice, è proprio quando ti fanno cadere in ginocchio che sei nella posizione giusta per pregare. E allora prego? abbiamo raggiunto il fondo, possiamo solo risalire»
Lo guardo, e sorrido. Già. Dobbiamo solo risalire.

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