Mondo

L’ospedale che non c’è

Il San Salvatore è stata fra le prime strutture a cedere. E dire che avrebbe dovuto dare sollievo ai malati. Storia di una vicenda molto italiana

di Redazione

Malgrado il nome, San Salvatore, e la funzione, è l’ospedale dell’Aquila, è stato uno dei prima a cadere. Ma soprattutto non è servito a salvare quasi nessuno. «Muri sventrati, pilastri piegati, impianti squarciati», così lo descrive un cronista del quotidiano dell’Abruzzo Il Centro poche ore dopo la tragedia. I numeri non lasciano scampo: quasi il 90% dell’ospedale si è fin da subito rivelato inagibile, le attrezzature sono scoppiate come palloncini, gli impianti divelti  e le condotte che portavano ossigeno  e gas medicinali sono praticamente fuori uso. Com’è possibile che non abbia retto? Alla domanda del giornalista il direttore generale Roberto Marzetti reagisce d’impeto: «Ma che cazzo ne so di come l’hanno fatto».  Male, molto male, verrebbe da dire.

Per rendersene conto davvero basta andare a ripescare una vecchia inchiesta parlamentare del 2000 sugli ospedali incompiuti.  Un documento quanto mai premonitore. Questi alcuni dei passaggi di quel testo: il San Salvatore è ospedale caratterizzato da «spazi di degenza angusti» «irrazionalità e obsolescenza dell’impianto costruttivo», «scarsa qualità del materiali impiegati». Difficile insomma pensare che un edificio così malridotto avrebbe potuto sopportare l’urto di un sisma. Eppure l’ospedale non è costato proprio due lire. Al contrario dalla data di nascita, la costruzione incominciò nel 1972, sono stati impegnati quasi 200 miliardi di lire in un’opera che invece sarebbe dovuta costare 11,4 miliardi. Ma oggi questo poco importa. Importa molto di più che un ospedale di un capoluogo di regione in piena area sismica a poche ore da un terremoto abbia 8 sale operatorie su 9 fuori uso. Altro che San Salvatore.

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