Cultura

Quella volta che hanno messo in scena De André

Recensione del libro con videocassetta "La buona novella di Fabrizio De André" (di Antonino Piazza).

di Redazione

Meglio i poveri cristi che l?avorio dei crocefissi, poveri ma veri, scandalosi per i comatosi della convenzione. Questo ci porta a dire l?arte povera, non quella fatta con gli straccetti, ma quella che guarda alla povera gente, di Via del Campo e di ogni altra via, a Bocca di Rosa e a quant?altri, alla vita cioè, nel duro attraversamento della realtà che è l?esistenza, en pleine air, fuori dal vide air logico-congetturale, nei luoghi dove lei, la vita, nasce, cresce, s?esalta, si ammala e muore: il lavorio interiore di Fabrizio De André, portato in scena dal Teatro dell?Archinvolto nella stagione 2000-2001, per la regia di Giorgio Gallone, con i monologhi di Claudio Bisio. Lavoro basato, come l?album di De André La Buona novella, sui Vangeli apocrifi, dei quali sono riportati brani, interpretati da Lina Sastri e Leda Battisti, per l?elaborazione musicale di Carlo Boccadoro. Spettacolo che troviamo in libreria, (Einaudi Stile Libero, 18,50 euro, libro e videocassetta). E ci ricordiamo che c?è stato il 68, come il 48 e l?89: non numeri al Lotto (aggiungiamo il 45 e facciamo quaterna) ma l?idea che c?è bisogno di una resistenza umana non partigiana; che conditio sine qua non per abitare l?umana natura è la bambinità, la croce per viverla. Ecco, anche la rivelazione è solo un accenno alla verità che, come un pugno chiuso, si leva in faccia alle tirannie dell?astratto. Bisogna amare la realtà, cioè, per il resto non ci sono precetti.