Welfare

Comunità della cura. la nuova Italia

Dall'assistenza tradizionale a percorsi di nuova economia

di Redazione

Ambulatori, residenze per anziani, coop di badanti: ecco chi prova a trasformarsi da erogatore di servizi a generatore di coesione sociale. Saltando la mediazione pubblicaFranco Battiato si prepari a riscrivere la sua canzone. «Ti proteggerò», cantava in La cura. «Ti solleverò». «E guarirai». «Ti salverò». Ecco, soprattutto questo, il finale. Non ne troverebbe uno, tra tutti quelli che della cura han fatto il loro mestiere, disposto a dirlo. Medici, assistenti sociali, psicologi, ma anche avvocati, insegnanti, imprenditori-tutor, badanti: dentro la comunità della cura i salvatori sono scomparsi, le anime belle sono in via di esaurimento e cominciano a diffondersi gli imprenditori. Le parole d’ordine, nella comunità della cura, sono welfare dell’empowerment e delle responsabilità condivise, dove la formazione – dei ragazzi sì, ma soprattutto quella permanente – diventa il cardine di ogni attività e il presupposto di ogni servizio. «Produrre relazione» è l’obiettivo di una cura che non si rivolge più solo a soggetti marginali ma, al contrario, stimola l’intera società a far maturare da sé le proprie capacità e, ove necessario, a generare da sé i propri anticorpi contro qualsiasi tipo di povertà.

Pubblico? No grazie
Area sanitaria, approccio nuovo, al Centro medico Sant’Agostino, a Milano: una seduta di logopedia, per fare un esempio, costa 35 euro, una visita ginecologica 60. Il centro ha aperto i battenti a marzo 2009 e vuole coniugare la qualità nel servizio medico specialistico con tariffe accessibili. «Un’iniziativa privata nell’interesse della collettività», ha spiegato Luciano Balbo. Balbo è il presidente di Oltre Venture e ha finanziato il Centro con un milione e mezzo. «Non credo a una sussidiarietà fatta con i soldi dello Stato», dice. «Il problema è che oggi il quadro è fatto da una carenza di servizi da parte dello Stato e da un non profit che, con il sistema degli accreditamenti, replica il pubblico e non innova, per cui la gente comune, non quelli che stanno ai margini, non percepisce l’utilità dei servizi di welfare. Non vedo sperimentazioni di nuove offerte nell’interesse collettivo ed è un problema che il non profit non si sia mai cimentato con il mercato».
L’impresa e l’economia le conosce bene invece Angelo Ferro, padovano, presidente dell’Unione cristiana imprenditori e dirigenti e presidente della Fondazione Opera Immacolata Concezione. A Padova l’Oic ha creato Civitas Vitae, una cittadella per anziani lontana anni luce dalle residenze a cui siamo abituati, a cominciare dai numeri: 2.300 ospiti e 1.500 dipendenti, un fatturato di 70 milioni di cui solo il 35% deriva da convenzioni pubbliche. «È tempo di abbandonare l’idea di invecchiamento come minaccia per vederlo invece come opportunità. Gli anziani hanno tempo e non hanno più l’ansia dell’affermazione personale, sono i soggetti che più di tutti hanno la possibilità e la capacità di produrre relazioni e coesione sociale», spiega. Ferro sintetizza in tre punti quel che fa dell’Oic un esempio di welfare society: «Primo, il welfare dipende da te e dalle tue capacità; secondo, l’utile va all’ospite; terzo, quel che conta è la motivazione del personale e infatti da noi il 65% della spesa va sotto questa voce».

Il modello badanti
Se è vero che i cambiamenti radicali partono sempre dal basso, dovrebbe essere un segno inequivocabile di novità il fatto che il prossimo 22 maggio, all’assemblea nazionale delle Acli Colf, le badanti proporranno l’autorganizzazione cooperativa come modello per uscire dal fai da te e dal mercato del lavoro nero. «È un tentativo per risolvere i due grandi problemi di questo mondo: riconoscimento della professione, attraverso la costituzione di un albo, e incontro fra badante e famiglia, poiché l’incrocio fatto dai servizi interinali purtroppo non funziona», spiega Giovanna Comino, del consiglio direttivo della Cooperativa Solidarietà di Torino. Si tratta di una cooperativa di colf nata già negli anni 80, che ha visto tutti i passaggi della categoria da serva ad assistente familiare e farà ora da modello per altre esperienze analoghe: necessariamente radicate sul territorio, precisa, «perché le esigenze sono davvero diverse da una città all’altra».
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