Welfare
Comunità della cura. la nuova Italia
Dall'assistenza tradizionale a percorsi di nuova economia
di Redazione

Ambulatori, residenze per anziani, coop di badanti: ecco chi prova a trasformarsi da erogatore di servizi a generatore di coesione sociale. Saltando la mediazione pubblicaFranco Battiato si prepari a riscrivere la sua canzone. «Ti proteggerò», cantava in La cura. «Ti solleverò». «E guarirai». «Ti salverò». Ecco, soprattutto questo, il finale. Non ne troverebbe uno, tra tutti quelli che della cura han fatto il loro mestiere, disposto a dirlo. Medici, assistenti sociali, psicologi, ma anche avvocati, insegnanti, imprenditori-tutor, badanti: dentro la comunità della cura i salvatori sono scomparsi, le anime belle sono in via di esaurimento e cominciano a diffondersi gli imprenditori. Le parole d’ordine, nella comunità della cura, sono welfare dell’empowerment e delle responsabilità condivise, dove la formazione – dei ragazzi sì, ma soprattutto quella permanente – diventa il cardine di ogni attività e il presupposto di ogni servizio. «Produrre relazione» è l’obiettivo di una cura che non si rivolge più solo a soggetti marginali ma, al contrario, stimola l’intera società a far maturare da sé le proprie capacità e, ove necessario, a generare da sé i propri anticorpi contro qualsiasi tipo di povertà.
L’impresa e l’economia le conosce bene invece Angelo Ferro, padovano, presidente dell’Unione cristiana imprenditori e dirigenti e presidente della Fondazione Opera Immacolata Concezione. A Padova l’Oic ha creato Civitas Vitae, una cittadella per anziani lontana anni luce dalle residenze a cui siamo abituati, a cominciare dai numeri: 2.300 ospiti e 1.500 dipendenti, un fatturato di 70 milioni di cui solo il 35% deriva da convenzioni pubbliche. «È tempo di abbandonare l’idea di invecchiamento come minaccia per vederlo invece come opportunità. Gli anziani hanno tempo e non hanno più l’ansia dell’affermazione personale, sono i soggetti che più di tutti hanno la possibilità e la capacità di produrre relazioni e coesione sociale», spiega. Ferro sintetizza in tre punti quel che fa dell’Oic un esempio di welfare society: «Primo, il welfare dipende da te e dalle tue capacità; secondo, l’utile va all’ospite; terzo, quel che conta è la motivazione del personale e infatti da noi il 65% della spesa va sotto questa voce».
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