Maria Teresa Poggiato è mamma di tre ragazzi. Due sono ormai grandi e poi c’è il piccolo Artur, arrivato dalla Moldova a 8 anni. «È sveglio e vivace, senza problemi cognitivi», spiega Maria Teresa. Però il suo cammino scolastico «è stato finora piuttosto faticoso», ammette. «Artur è nato con la palatoschisi e dunque ha avuto bisogno di una logopedista per la corretta pronuncia della lingua. Poi abbiamo chiesto l’aiuto di due maestre per poterlo inserire in prima elementare». In terza, tra i bambini della sua stessa età, per Artur «sarebbe stato terribilmente frustrante non trovarsi ancora in linea con gli standard di rendimento della scuola», prosegue la mamma. «Doveva imparare l’italiano e anche le operazioni più semplici, come trascrivere dalla lavagna, restano per lui molto complesse. Inoltre, senza esperienza d’asilo e con la poca scuola seguita in Moldova, Artur non sapeva organizzare il suo banco, né usare le forbici». «L’inserimento è stato comunque buono perché avevamo una rete di famiglie amiche e diversi bambini che, anche da altre classi, lo andavano a salutare durante la ricreazione», dice Maria Teresa.
Ma nonostante lo sforzo della famiglia, il rapporto con le insegnanti dei vari moduli non è stato sempre lineare. Al primo brutto voto in informatica, «abbiamo deciso di coinvolgere una psicoterapeuta, assunta privatamente, per riuscire a dialogare con le maestre». Un aiuto oneroso ma necessario, perché non sempre è facile, da genitori, proporre agli insegnanti una strategia di apprendimento e di relazione diversa da quella che usano normalmente. «Ad esempio, gratificare il bambino se ha fatto bene», spiega Maria Teresa. «O capire che per lui sarebbe più semplice essere interrogato che sostenere una prova scritta».
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