Non profit
Quelli che non si arrendono
Oggi il 90% dei cerebrolesi non ha una vita attiva. Un trend da invertire
di Redazione
Tornare a una vita attiva, anche dopo che un incidente ha lasciato in eredità un grave trauma cranico, una lunga ospedalizzazione e – spesso – danni cerebrali di diversa gravità. Non è un percorso impossibile, ma per farcela è necessario che la comunità tenda una mano. Sull’altro fronte, quello delle famiglie e di chi accompagna le persone con gravi cerebrolesioni acquisite, si tratta di sapere «dove bussare». È proprio questo il tema scelto per la X Giornata nazionale del trauma cranico, che la Federazione Associazioni Trauma Cranico ha celebrato il 31 ottobre con un convegno dal titolo Per sapere dove bussare. Vita, scuola, lavoro.
«I percorsi sanitari e la riabilitazione motoria sono una parte importante del lavoro da fare con chi ha subito un danno cerebrale, e su questo oggi in Italia c’è una buona omogeneità sul territorio nazionale», spiega Paolo Fogar, presidente della Federazione. «I problemi arrivano dopo, quando ci si deve ricostruire una vita: i servizi e le strutture dedicate al reinserimento sociale e lavorativo sono insufficienti e disomogenei, spesso non sono in rete, manca un percorso chiaro verso cui indirizzare le famiglie e manca una figura che faccia da riferimento per le famiglie. Stanti così le cose, solo il 10% di chi ha esiti da trauma cranici riesce a tornare a una vita autonoma e attiva». Tra i problemi principali, affrontati in un momento ad hoc del convegno, c’è l’inserimento lavorativo: «Bisogna passare dai progetti alle assunzioni», dice Fogar. «Chiaro che serve una mediazione, qualcuno che accompagni non chi ha una disabilità da cerebrolesione acquisita ma il datore di lavoro, che gli faccia vedere dove è più opportuno impiegare quel lavoratore».
Una traccia di percorso possibile viene dalla ricerca realizzata dall’associazione Brain, che ha mappato i servizi e le risorse a favore delle persone con Gca nella Regione Veneto: per Fogar «il modello potrebbe essere replicato su altri territori e già ora sul nostro sito abbiamo lanciato il censimento dei centri di riabilitazione, di cui daremo in futuro anche una valutazione».
Il ruolo delle associazioni è fondamentale, perché «con la mente nessuno sa esattamente cosa succede dopo. In questo campo la professionalità si costruisce sul campo, non a una scrivania. Vale anche per noi, rispetto a dieci anni fa siamo molto più in grado di scambiarci buone pratiche». Una sommatoria di esperienze non sovrapponibili, che fanno una bella massa critica.
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