Welfare

Quei “concellini” che diventano amici, compagni, sostegno

di Redazione

Per gli stranieri non c’è una seconda possibilità
Emiliano è un ragazzo albanese, che si era iscritto all’università, aveva fatto 26 esami, ne mancavano tre alla laurea, ma nei giorni scorsi ha finito di scontare la pena. Così il suo compagno di cella racconta la sua uscita dal carcere: «Qualsiasi altra persona sarebbe stata contenta di riconquistare la libertà, ma la sua felicità era visibilmente avvelenata: la paura dell’espulsione l’ha tormentato fino all’ultimo giorno. E infatti, ad aspettarlo fuori dal carcere c’era un decreto di espulsione e il volo per l’Albania. È doloroso prendere coscienza di quanto sia difficile oggi costruire un progetto di vita in questo Paese, soprattutto per lo straniero che ha sbagliato una volta. Spero che non gli venga in mente di tornare clandestinamente per laurearsi poiché succederebbe che, dopo aver preso titolo di dottore, verrebbe riportato in cella».

Concellini, cioè…
C’è una strana parola nel gergo del carcere, “concellino”, che indica le persone con le quali sei costretto a condividere la cella. Laura, detenuta a Torino, racconta, nel blog Dentro e fuori, che cosa ha significato per lei trovare una concellina che l’ha aiutata a non autodistruggersi: «Ieri è uscita la mia concellina, la mia amica, il mio sostegno, la mia energia? Sono felice per la sua libertà ma allo stesso tempo so di aver perso la presenza di una persona per me molto importante e questo mi rattrista. Forse chi non è mai stato in carcere non si rende conto di cosa significa vivere a stretto contatto 24 ore su 24 per giorni, mesi, anni. Mangiare insieme, dormire nella stessa stanza, scherzare, condividere momenti brutti, superare i dolori insieme, rapportarsi con tutte le persone e le situazioni che si creano in carcere».

Il primo permesso e il difficile rientro in famiglia
Michela, detenuta, scrive alla redazione del sito Innocenti evasioni, ponendo una domanda secca: «Quante possibilità ha di cambiare vita una donna a cinquant’anni e pure pregiudicata?». E poi racconta la sua esperienza, quella di essere finita per la prima volta in carcere a 45 anni, e di essersi però trovata, paradossalmente, a costruirsi interessi e relazioni nuove proprio in galera.

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