A Milano e dintorni gli immigrati irregolari lavorano più degli italiani: il 62% contro il 59%. E spesso sono anche più istruiti: il 43% ha finito le superiori (la media nazionale è del 39%). Peccato che il loro lavoro sia esclusivamente sommerso e nella maggior parte dei casi molto meno qualificante del titolo di studio: il 58% delle donne è collaboratrice domestica, il 39% degli uomini è operaio edile o specializzato. A schiudere il difficile mondo dei “clandestini” del milanese ci ha pensato l’associazione Naga, nel rapporto 2009 Ingombranti inesistenze: il primo nel suo genere che fotografa una realtà di cui si parla molto ma che è carente di dati oggettivi. Il lavoro, condotto da tre ricercatori universitari e basato sugli accessi all’ambulatorio medico del Naga dal 2000 al 2008 (in tutto 47.500 utenti, 4.400 nel solo 2008), «sfata i luoghi comuni dell’immaginario italiano, soprattutto la retorica basata sull’equivalenza clandestino=delinquente», spiega Pietro Massarotto, presidente del Naga. A Milano il 60% dei migranti irregolari ha meno di 35 anni, proviene soprattutto da America Latina e Nord Africa, vive in affitto spesso con amici o parenti, è in Italia da almeno tre anni e nel 50% dei casi ha un figlio . «Sono “ingombranti inesistenze” perché pur non avendo diritti e lavorando in nero, sono presenti nel tessuto sociale italiano, inutile negarlo», continua Massarotto. «La legislazione attuale è inefficace: a quando una legge che permetta loro di emergere come cittadini di diritto?». (D.B.)
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