Welfare

Vallanzasca: io, educatore

L'ergastolano più famoso d'Italia per sé immagina un futuro nel sociale

di Redazione

«Il mio sogno è quello di lavorare con i ragazzi difficili». Novembre: Renato Vallanzasca confida questa sua aspirazione a Vita, nella sua prima intervista in libertà. E racconta molte altre cose di sé.

Stavolta se ne sono accorti in pochi, ma Renato Vallanzasca è tornato in città. L’ultima notte in cella, ad Opera, è datata 13 giugno. Da quel giorno nella sua casa milanese, a pochi passi dal cimitero Maggiore, dorme fianco a fianco alla moglie, Antonella D’Agostino in Vallanzasca (ma sul citofono il cognome che per anni ha fatto tremare un’intera città non compare).
Differimento pena per motivi di salute. È questo oggi il lasciapassare che ha restituito un futuro all’ex boss della Comasina. Il 16 dicembre si deciderà per l’eventuale proroga. I coniugi Vallanzasca sono convinti che non ci saranno problemi: «Spero di farmi il Natale a casa, ma se mi dicessero che devo tornare, lo accetteri. Io sono uno sconfitto. Decidano loro». Per “un fine pena mai” di quasi 60 anni, di cui 38 trascorsi dietro le sbarre, la speranza è un sentimento neutro. Con un’anca mal messa, qualche chilo di troppo e molti capelli in meno, del bel Renè che faceva girare la testa alle ragazze ci sono rimasti giusto l’ammiccante espressione degli occhi e i baffi d’ordinanza. E anche lo stile. Non saranno di marca, ma camicia e cravatta (azzurre, in questo caso) non possono mancare nemmeno per un’intervista casalinga. Guai a fare brutta figura.
Al terzo piano di un grigio palazzo di periferia, l’abitazione si sviluppa lungo il corridoio. La cucina, la sala, il bagno e la camera matrimoniale. Sul comodino le immagini di Padre Pio. Ottanta metri quadrati scarsi ben tenuti, ma nessuno sfarzo. Se non le quattro televisioni. Più di una per stanza, compreso il maxischermo al plasma. «La guardo a letto con mia moglie, poi lei si addormenta, io cambio canale, ma non è che ci sia granché». Il sonno è un traguardo ancora da raggiungere. I ritmi della galera ti restano dentro: «Lì non ci sono orari, e poi io in carcere non dormivo praticamente mai». Adesso va meglio, «ma non sono ancora una persona normale». Con quattro ergastoli e una fedina penale da 260 anni di reclusione, e una media di oltre tre pacchetti di Marlboro al giorno, difficile esserlo.
Niente libri e niente giornali. Col pc, compagno di sventura per oltre 15 anni, i rapporti non sono più buoni. «Da quando sono fuori, non l’ho più toccato, sono andato in overdose». Internet? «Mah, non è che ci capisca molto». Rimane il telefonino. Una vera e propria passione. La bolletta dell’ultimo mese segnava 968 euro. «È che non riesco a dare valore al denaro. Ogni volta devo tradurre tutto in lire e non mi basta. Le diecimila lire dei miei tempi sono diverse dai 5 euro di oggi, un casino». La vita mondana?«Questa è una città morta: ai miei tempi se ti presentavi alle quattro del mattino in alcuni posti facevi fatica ad entrare, oggi a quell’ora è tutto chiuso». Poi c’è la questione del silenzio. «Io ero abituato ai motori a scoppio, le macchine di adesso non le sento, ogni volta che vado in giro è un miracolo se torno a casa vivo». I tempi del boss della Comasina sono lontani. Gli omicidi, le rapine, le fughe, per Vallanzasca questo è un capitolo chiuso. «Ho già detto tutto. Adesso basta». Alla soglia dei 60 anni il suo sogno è un altro: lavorare con i ragazzi difficili, «perché ho il carisma per schiacciare i tasti giusti». «Non so se me ne daranno la possibilità, ma io ci so fare», giura. E per mettersi alla prova in questi mesi ha già esordito in tre comunità: Exodus, il Gabbiano e Saman. A fargli da stella cometa e da apripista, la moglie, lei stessa fondatrice di una piccola cooperativa sociale. Ma la data clou è il 5 maggio 2008. La ripartenza di Vallanzasca parte da qui.
Vita: Cosa è accaduto quel giorno?
Renato Vallanzasca: Mi sono sposato.
Vita: «Per sposarsi bisogna essere coglioni, figurarsi sposarsi due volte». Sa chi lo ha detto?
Vallanzasca: Io?
Vita: Esatto. E questo è il suo secondo matrimonio?
Vallanzasca: Con Antonella ci conosciamo da una vita. Con lei avevo un rapporto di amicizia che poteva essere completato solo in questo modo. Era giusto farlo.

(…)
Vita: Chi sono i suoi amici di oggi?
Vallanzasca: I parenti di Antonella sono le persone che stimo di più. E poi sono tanti. Acquistando una famiglia, ho acquistato un esercito di amici. Poi ci sono quelli che lavorano in comunità. Don Mazzi e gli educatori del Gabbiano e di Saman.
Vita: In comunità lei vorrebbe anche andarci a lavorare. Vallanzasca educatore? Non le sembra davvero un po’ troppo?
Vallanzasca: Sì, forse sì. Io non ho nulla da insegnare a nessuno. Ma una cosa la so fare meglio di ogni altro.
Vita: Cosa?
Vallanzasca: Sono capace di dissacrare i miti. A partire dal mio. Quando avevo 15 anni e i vecchi mi dicevano: «Fa minga inscì, te se ruinat». Io gli rispondevo: «Ti ringrazio, ma so sbagliare benissimo da solo, non ho bisogno dei suggerimenti di nessuno». Lo facevano con il cuore, mi davano consigli per il mio bene, ma si comportavano nel modo sbagliato. Volevano insegnarmi a vivere. Io parto da un punto di vista diverso.

(…)

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