Welfare
Rebibbia al lavoro, una scommessa vincente
Strategie controcorrente nel carcere più grande d'Italia
di Redazione

Sostenere che la professionalità vera dietro le sbarre sia un’utopia «significa dire una sciocchezza». La prova? «Il nostro call center è fra i migliori dei 54 di proprietà della Telecom».
Il prossimo obiettivo? «Fornire servizi al nostro territorio senza sottrarre occupazione agli esterni»
Far visita a Carmelo Cantone, direttore a Rebibbia, è un po’ come finire nell’epicentro di un terremoto. Quello, silenzioso, ma inesorabile, che ormai da mesi sta portando sull’orlo del precipizio il cosiddetto “pianeta carcere” (le ultime statistiche ufficiali, datate 30 settembre 2009, parlano di 64.595 presenze a fronte di una capienza regolamentare poco superiore alle 43mila unità, con un incremento mensile medio di 800/mille detenuti). Uno tsunami (il 20 dicembre con il suicidio numero 171 dietro le sbarre è stato raggiunto il record dell’Italia repubblicana, pareggiando quello del 2001) che il timoniere del più grande istituto italiano sopporta quotidianamente sulle sue spalle. Detta in numeri la situazione è la seguente: 1.630 detenuti presenti per 1.200 posti regolamentari (e 820 agenti in servizio, mentre per regolamento dovrebbero essere almeno mille). Il che significa, tolte le 350 celle singole dove vivono effettivamente 350 detenuti, che «nelle stanze da tre detenuti ce ne stanno cinque o sei e in quelle da due ci vivono in tre o quattro».
Cantone, classe 1958, padre di due figli e discepolo del fautore del “carcere della speranza” Nicolò Amato, non è tipo da tenere la bocca chiusa («abbiamo 17 educatori per 1.600 detenuti, in queste condizioni diventa proibitivo prevenire le situazioni più critiche»), ma nemmeno da alzare facilmente bandiera bianca. Per capirlo basta chiedergli cosa si aspetta dall’anno prossimo.
Vita: Come sarà Rebibbia nel 2010?
Carmelo Cantone: Sicuramente un posto migliore rispetto a quello che vede oggi. Al momento sono 80 i detenuti che hanno un lavoro extramoenia, più altri 400 alle nostre dipendenze. L’anno prossimo saranno di più. Abbiamo le risorse umane per incrementare i progetti interni e i contatti per allargare il ventaglio delle commesse esterne da cui nasceranno decine di nuovi posti di lavoro.
Vita: Crede davvero che da un carcere possa uscire un prodotto in grado di stare sul mercato?
Cantone: Noi operatori penitenziari non dobbiamo avere vergogna di quello che è il nostro mondo. Non possiamo essere speculari rispetto alla rimozione che viene spesso praticata fuori da qui. Piazze come quella di Rebibbia possono diventare, nelle vesti di erogatori di servizi, una risorsa per il territorio. Noi ad esempio vogliamo essere una risorsa per il quinto municipio di Roma, quello in cui sorge l’istituto. Lo dimostrano i rapporti che abbiamo con gli enti locali e con alcune realtà del territorio. Faccio l’esempio di Autostrade per l’Italia che ha, a pochi metri da qui, la sua direzione generale e da tempo collabora con noi. Per Telecom vale lo stesso discorso. Questa è la direzione che dobbiamo perseguire. Fornire servizi senza togliere lavoro alla collettività.
Vita: Secondo lei i detenuti sono davvero in grado di assicurare standard professionali adeguati?
Cantone: Non io, ma i fatti dicono di sì. Il “nostro” 1254 della Telecom festeggerà a febbraio il quarto anno di vita e risulta essere, nei rapporti di qualità, tra i migliori fra i 54 call center nazionali dell’azienda. Per Autostrade per l’Italia i detenuti in alta sicurezza fanno il caricamento dati per i mancati pedaggi autostradali. Un’esperienza che ormai è arrivata al quarto anno di vita. E ora l’azienda si appresta ad aumentare la commessa. Dire che il detenuto in quanto tale è un lavoratore che si impegna di meno o è meno capace è una grande sciocchezza.
Vita: Si aspetta qualche regalo dal Piano carceri tante volte annunciato dal governo, ma mai presentato?
Cantone: Nel breve periodo nulla, anche se l’emergenza è qui davanti ai nostri occhi. In futuro naturalmente mi auguro che tutte le sedi in difficoltà, come la nostra, possano contare sulle risorse necessarie. Per adesso occorre arrangiarsi da soli.
Vita: Don Sandro Spriano, il cappellano di Rebibbia, in riferimento alla morte di Stefano Cucchi, ricoverato al Pertini sotto la sua giurisdizione, ha dichiarato che questa è stata la spia «del disagio enorme che si vive nei penitenziari». Concorda?
Cantone: Sì. In effetti in quella vicenda sono state coinvolte tutte le agenzie che si occupano di disagio e di devianza. E tutte hanno registrato difficoltà e imbarazzi. Nella vicenda penale non entro. Detto questo, come operatore penitenziario, e con assoluto rispetto per chi ha sofferto per la morte di un figlio e lo dico da padre, stiamo attenti a non buttare via il bambino con tutta l’acqua sporca. Perché chi lavora nell’amministrazione penitenziaria non ha bisogno di venir criminalizzato senza accuse documentate. Noi per primi sentiamo la necessità di un’analisi sui problemi reali che viviamo in modo che, non solo, le persone non muoiano il carcere, ma che vengano restituite alla società migliori rispetto a come sono entrate.
Vita: I radicali propongono un nuovo indulto. Cosa ne pensa?
Cantone: Vedrei meglio altri meccanismi. Ad esempio la detenzione domiciliare nell’ultimo anno di detenzione. Secondo un conteggio che abbiamo fatto in questo caso avremmo un centinaio di presenze in meno. Poi c’è il nodo del processo penale. Il 48% dei detenuti oggi in Italia è in attesa di giudizio. Bisogna lavorarci sopra. Questo però comporterebbe una presa in carico territoriale dei comportamenti devianti che oggi sono confinati in luoghi-parcheggio come il carcere.
Vita: Come valuta l’ipotesi di aprire ai privati la gestione dei penitenziari?
Cantone: È un’ipotesi inimmaginabile. E lo dice uno che è a favore dell’esternalizzazione di alcuni servizi. I privati, e l’esperienza Usa ce lo insegna, entrano nel sistema se hanno da guadagnare. Non certo per filantropia. Il problema è che il nostro è un sistema in perdita. Non vedo quindi chi possa essere interessato a un business che non c’è. A meno di non voler stravolgere il nostro ordinamento.
Vita: In che senso?
Cantone: Per avere margine, bisognerebbe sottopagare i detenuti e abbassare la qualità del servizio. Ma in questo caso rinunceremmo alla funzione riabilitativa del carcere. Non credo sia possibile.