Il volontariato rischia di “mettere le toppe”
«Dobbiamo fornirgli noi la biancheria intima e i vestiti, addirittura il sapone e lo shampoo per lavarsi. Soprattutto chi non ha famiglia vive in uno stato di completo abbandono»: è fra Beppe Prioli, dell’associazione La Fraternità di Verona, a descrivere quello che è un po’ il quadro di tutte le carceri italiane, un parcheggio di persone spesso prive anche dei generi di primissima necessità. E in questa situazione ancora una volta il ruolo del volontariato rischia di essere quello di mettere delle toppe a una realtà che sta sgretolandosi, fornendo ai detenuti prodotti per l’igiene, vestiario, a volte anche medicinali, e contribuendo a stemperare le tensioni. E non sarebbe, allora, giusto che il volontariato fosse per lo meno consultato in merito alle possibili soluzioni per il sovraffollamento?
Il rapporto con la propria madre detenuta
Una figlia racconta com’è difficile ricostruire il rapporto con la madre detenuta, e si capisce così quanto il carcere, privo di spazi decenti per curare gli affetti, rischi di distruggere anche i legami affettivi delle persone. «Che rapporto ho con mia madre oggi? Ne sto costruendo uno. In carcere non è semplice. Andandola a trovare una volta al mese non era possibile instaurarci un rapporto. Da quando è uscita in misura alternativa, è stato un po’ più facile. Io ero ancora un poco arrabbiata, non è che cose così vadano via in un lampo. Però poi ho visto che parlandoci, non dico “a cuore aperto” ma almeno sinceramente, le cose sono cambiate. All’inizio era lei che mi cercava e la cosa a volte mi infastidiva: spesso non le rispondevo al telefono. Era un po’ invadente, ma l’ha capito subito e ha aspettato che fossi io a cercarla. Ha aspettato i miei tempi».
In migliaia in galera meno di tre giorni
Il direttore del carcere di Torino dà un dato significativo, che spiega uno degli aspetti più devastanti del sovraffollamento: «Su 7.915 ingressi registrati in un anno nel mio carcere, ben 3.919 detenuti sono stati scarcerati entro i tre giorni». Di questa corsa ad arrestare le persone, e a intasare le carceri, per poi rilasciarle dopo pochissimi giorni, parla anche Adriano Sofri, fotografando l’assurdo di questo dentro e fuori dalle galere, che rende il sistema ingestibile: «Intanto ci sono le persone in attesa di giudizio. Poi ci sono quelli che entrano ed escono: persone che vengono arrestate, subiscono tutte le pratiche che implicano l’ingresso in un carcere, dalla perquisizione all’abbandono della propria personalità, all’esplorazione anale. Insomma, tutta questa iniziazione carceraria che dura ore, che impegna una quantità di persone e spoglia i detenuti della loro dignità, per poi rimetterli fuori nel giro di due, tre giorni. Questo vuol dire che non c’era alcuna necessità se non quella di seguire questa macchina burocratica».