Il modello di una organizzazione francese nata da donne
per difendere le donne musulmane. Ci vorrebbe in Italia…di Karima Moual
Sono donne emancipate, ma non per questo vogliono essere considerate delle puttane, perché sono donne di cultura araba ma di adozione francese. Ma l’altra etichetta che si portano addosso è quella di donne musulmane, ma loro non vogliono essere considerate e trattate da sottomesse per questo. Vogliono essere donne e basta, donne libere, le figlie dei musulmani di “Lalla Francia”, (la signora Francia) come lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun, chiama la Francia nel suo ultimo romanzo, dal titolo L’ha ucciso lei, che racconta il conflitto tra padri e figli. Tra un padre legato al Paese d’origine e i figli che ormai sono francesi, che vedono il loro futuro solo in Francia e che si innamorano e si sposano con francesi.
Conflitti e violenza, degrado e discriminazione: è questo il male che affligge una parte della comunità araba francese delle banlieue, della periferia, dove anche in questo caso è la parte femminile a pagarne il prezzo più alto. La violenza e la discriminazione verso le donne è purtroppo un fenomeno mondiale, che si insidia soprattutto in quelle società maschiliste e istituzionalmente patriarcali, visibili legislativamente in alcuni Paesi, mentre in altri, considerati società moderne ed occidentali, riescono facilmente a mimetizzarsi.
Ma le donne di cui parliamo non sono donne del terzo mondo, sono donne arabe che vivono in Occidente, sono nate in Occidente. Sono europee ma purtroppo ancora oggi faticano a conquistarsi diritti, tutele, libertà e rispetto, riuscendo così a condividere poco quel che le altre donne occidentali sono riuscite a conquistarsi con il tempo e le battaglie. E in Francia c’è chi si è mosso nella direzione giusta, a partire dallo slogan.
«Ni putes ni soumises», né puttane né sottomesse. È questo il nome del movimento femminista nato nel 2003, proprio da quelle figlie di Lalla Francia, figlie degli emigrati maghrebini, che non ci stanno a sopportare violenze e discriminazioni, denunciano l’oscurantismo dilagante e le tradizioni patriarcali che sono state la causa di matrimoni forzati e di violenze subite per mano di fratello o padre, marito o fidanzato, solo per voglia di emancipazione e libertà. Vanno poi oltre e denunciano anche il degrado e l’insicurezza, presente in alcuni quartieri, molte volte abitati dai soli stranieri.
Il movimento nasce dalla morte di una ragazzina di 17 anni, bruciata viva dal suo ex ragazzo. «Ni putes ni sumises» oggi ha quasi 40 comitati in tutta Francia, oltre a quelli in Spagna, Svezia, Olanda, Svizzera, Marocco, Algeria e Stati Uniti d’America.
Nel 2007, attraverso il discorso dell’allora vicepresidente Sihem Habchi (oggi presidente), tenuto a New York, al movimento è stato concesso lo status consultivo presso l’Onu che gli consente di essere un partner sulla scena internazionale.
E in Italia? Nel nostro Paese purtroppo le violenze ci sono. Le famiglie musulmane in Italia sono numerose e in crescita, e il conflitto che hanno vissuto i figli di Lalla Francia stanno iniziando a viverli anche i figli di Lalla Italia. Come li si aiuta e li si può proteggere? La ricetta vincente per riuscirci non è sicuramente facile da trovare, ma creare un rete di sensibilizzazione come quella nata in Francia può essere un buon inizio. E il vuoto di questa rete che non c’è in Italia, si è manifestato ai nostri occhi con la morte di Sanaa che ha avuto, come al solito quando succedono fatti di cronaca riguardanti persone di origine straniera, un grande spazio mediatico ma violento contro un’intera comunità, senza capire in profondità e senza pregiudizi come aiutare queste nuove famiglie di prima generazione che stanno crescendo e che per forza si trovano in conflitto, non solo perché si risvegliano vedendo i propri figli diversi da sé, ma perché anche disorientate in un progetto d’integrazione sbagliato, perché sono ancora invisibili, ma diventano un caso solo quando accade il dramma.
www.niputesnisoumises.com