Non profit

Il pane venduto e buttato, una proposta semplice

di Redazione

Reagendo alla notizia dei 180 quintali di pane prodotto giornalmente dai forni milanesi che rimane invenduto e finisce al “macero”, qualche organizzazione non profit si è subito dichiarata disponibile al ritiro e ridistribuzione attraverso la propria rete di servizi che tradizionalmente pone attenzione alle fasce più deboli. Ancora una volta si afferma il concetto che solo i professionisti della carità siano soggetti capaci di ridurre e contenere uno dei fenomeni più paradossali del nostro sistema economico: la sovrapproduzione in risposta ad una domanda possibile piuttosto che accettare di dover dire di no ad un cliente ed orientarlo nell’esercizio commerciale accanto. Non entro nel merito del fenomeno anche perché già oggetto di analisi attente e, forse per questo, inascoltate.
Mi limito a fare alcune considerazioni. La prima riguarda il valore simbolico che il pane rappresenta. Non solo in quanto alimento di prima necessità ma anche in quanto oggetto semanticamente carico di significati primo fra tutti il lavoro (mio nonno quando vedeva in tavola un panino rovesciato si preoccupava di rimetterlo in modo corretto, commentando ogni volta che il pane merita un rispetto particolare) e poi il richiamo alla convivialità, al condividere con altri il momento del pasto come segno di dialogo a garanzia di un maggior nutrimento. E così fino a quello “spezzare del pane” cristiano attorno al quale molti si ritrovano. Tutte espressioni di uno spessore di coesione sociale che si va perdendo.
Bene, detto ciò, una semplice soluzione ci sarebbe. Ogni forno, distribuito capillarmente nel territorio cittadino, potrebbe semplicemente mettere a disposizione di chi fa veramente fatica a comprare anche il pane, quel poco o tanto di invenduto che quotidianamente produce. Ogni fornaio può essere aiutato a riconoscere gli aventi diritto e ogni fornaio può preventivamente preparare quanto pane effettivamente non smercia predisponendo sacchetti da distribuire discretamente a chi, ad una certa ora della sera, si presenta senza nemmeno dover chiedere. Nei quartieri, quando la coesione sociale era praticata senza nemmeno conoscerne il significato, tutti sapevano di tutti ed anche i commercianti capivano dove era il caso di intervenire. Dignità per chi riceve, partecipazione per chi dona. Direttamente, senza intermediari e soprattutto senza tanto rumore, ristabilendo così una prossimità territoriale che parla di coesione sociale ritrovata. Nessun costo di smaltimento, nessun costo di ritiro e ridistribuzione, massima soddisfazione, obiettivo raggiunto.
La nostra città ha bisogno di gesti semplici per non trasformarsi da capitale morale in deserto.

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