Non profit

La buona privatizzazione di Montaldo

Nel Biellese l'acqua viene gestita direttamente dai consumatori. Ecco come

di Redazione

Che cosa sarebbe successo se gli elettori non avessero bocciato la cosiddetta privatizzazione dell’acqua? A Montaldo, frazione del comune di Mezzana Mortigliengo, in provincia di Biella, nessuno si è posto il problema. L’acquedotto e la gestione dell’acqua, qui, sono infatti già privati. La rete idrica non è statale o degli enti locali come nel resto d’Italia ma è di proprietà degli stessi cittadini. I cento e passa abitanti del borgo a seicento metri d’altezza l’hanno ereditata dai bisnonni, un manipolo di veri e propri pionieri che poco più di un secolo fa, nel 1907, ha realizzato a proprie spese il reticolo di condutture che collega le sorgenti ai rubinetti del paesino, per sopperire alla mancanza di acquedotti in questa zona di montagna.
I discendenti, gli attuali soci del Consorzio Acqua potabile Mezzana Montaldo, sono proprietari (pro quota) delle tubazioni e degli impianti, gestori del servizio e al tempo stesso utenti. Il consorzio, altro piccolo dettaglio, conserva ancora questo nome ma formalmente è una comunione. La disciplina applicata, non a caso, è la stessa che regola la vita dei condomini. «La vittoria dei sì al referendum dà ulteriore legittimazione politica alla nostra azione», spiega Simone Ubertino Rosso, 26 anni, segretario del Consorzio. I mezzanesi, nonostante siano riuniti in un soggetto giuridico privato, non vedono infatti di buon occhio chi considera l’oro blu una merce. Il loro motto è “l’acqua per l’acqua, non per i soldi”. La funzione sociale che esercitano li fa sentire insomma più vicini al pubblico che a chi punta a fare affari con l’acqua. Ma non sono in fondo né l’uno né l’altro. «Non siamo né una municipalizzata né una società per azioni votata al profitto. Siamo la terza via: un privato non profit», puntualizza Rosso. Del resto, per ottenere il riconoscimento da parte dei poteri pubblici locali hanno dovuto faticare un po’.
L’Ambito territoriale ottimale, l’Ato 2 Piemonte, ha nicchiato prima di affidargli per quindici anni la concessione delle acque. L’offerta iniziale era di soli tre anni. «Un tempo troppo limitato per portare avanti gli investimenti sulle reti e sui sistemi di potabilizzazione», commenta il giovane segretario. Così per far sentire la voce, nel 2007 è nata l’Associazione di tutela acque libere, un organismo che mette insieme una cinquantina di piccole realtà mutualistiche come quella di Mezzana, sparse nel Biellese orientale. Difendono l’idea di terza via come miglior soluzione per questi territori. «Realtà come la nostra sono sconvenienti anche per il privato: non hanno rilevanza economica. A Roma ci sono dei numeri per guadagnare, a Montaldo no», taglia corto.
Rosso collabora alla gestione del piccolo acquedotto (15 chilometri di reti che captano da 14 sorgenti) da quando aveva 16 anni. Il valore aggiunto di quest’esperienza di prossimità («oggi difficilmente replicabile altrove, almeno nella forma della comunione», osserva il segretario) non sta infatti solo nel basso costo delle tariffe e nei tempi ridotti per riparare i guasti. Il valore più prezioso è immateriale. «È un laboratorio di cittadinanza attiva. L’utente sa da dove e come arriva l’acqua, impara a gestirla e ad amministrare la cosa pubblica», chiosa.
Il segretario e i membri del consiglio di amministrazione, eletti dall’assemblea dei soci, fanno puro volontariato. Nei ritagli della giornata leggono i contatori, preparano le bollette e curano anche il bel sito (www.acquedottomontaldo.biella.it) su cui pubblicano documenti storici sui “ribelli dell’acqua”, così li ha ribattezzati Paolo Rumiz di Repubblica, i verbali dell’assemblea e soprattutto i risultati delle analisi di potabilità. Senza percepire neanche il rimborso spese. Altro che gettoni di presenza delle multiutility.

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