Se la divisa rende arroganti
Un agente di polizia tempo fa ci ha scritto una lettera raccontandoci ciò che succede a una persona, impegnata nelle forze dell’ordine, che improvvisamente si trova a essere famigliare di un detenuto, una lettera particolarmente attuale, dopo le recenti vicende di violenze su detenuti: «A tutti potrebbe capitare di avere un proprio caro che finisce in carcere? a me è capitato. Non sono un agente della Polizia penitenziaria, ma sono comunque un agente di Polizia. Se una settimana prima dell’inizio della mia “doppia” vita (da poliziotto e da parente di un detenuto) qualcuno mi avesse chiesto che cosa avrei fatto se mi fosse accaduto quanto poi è accaduto, gli avrei risposto che quel parente “avrei dimenticato” di averlo. Ma quando capita a te, è tutto diverso, è veramente un altro mondo. Anch’io, come i miei colleghi, nei primi anni del mio lavoro ero convinto di avere la possibilità di giudicare, il dovere di “punire” chi sbagliava. So per esperienza che la divisa, se portata con un po’ di arroganza, non rispecchia proprio quello che dovrebbe essere il tuo lavoro, ma solamente, purtroppo, una persona frustrata che cerca le sue sicurezze utilizzando l’abito che indossa».
Ma chi ha paura di introdurre il reato di tortura?
A chiedere che sia introdotto finalmente nel Codice penale il reato di tortura sono anche i detenuti, quelli stranieri in particolare, che spesso hanno conosciuto sulla loro pelle quello che si definisce «un trattamento disumano e degradante». Nei suoi rapporti del 2003 e del 2006 (consultabili nel sito www.cpt.coe.int) il Comitato europeo contro la tortura racconta episodi di sospetta violazione dei diritti delle persone private della libertà personale avvenuti nelle questure, nelle caserme, nelle carceri e nei centri di identificazione. Sono anni che si parla di introdurre nel Codice penale il reato di tortura, ma sulla nozione di tortura si è aperto un dibattito che ha di fatto bloccato il processo legislativo. Oggi gli stranieri reclusi rappresentano la causa prima di tutte le paure e i problemi della società, e finché continuerà a perpetuarsi l’allarme mediatico su tutto ciò che fa paura, ci sarà sempre qualcuno convinto di avere il mandato per umiliare e degradare chi è in manette.
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