Mondo

Alida, felice di non sentirsi onnipotente

Ha 25 anni, è veneta, nel 2003 è stata in servizio civile in Kosovo. "Ho imparato tante cose. Che il freddo può regolarti la vita" (di Alida De Bortoli).

di Redazione

Ho sempre pensato di partire, andare in un Paese culturalmente lontano, ma quando mi è arrivata la notizia che sarei andata in Kosovo? tutto è cambiato, diventando improvvisamente reale. Da lì in poi è stato diverso. Improvvisamente le preoccupazioni per la famiglia, il lavoro e le altre attività sono diventate secondarie.
La mia prima, vera partenza è stata nel periodo di formazione, in cui per due mesi sono stata seguita dal punto di vista progettuale e umano dalla rete degli organismi che collaborano con Rtm (Reggio Terzo mondo, la ong per cui lavoro). Ho trascorso inizialmente quasi un mese nella casa di Carità di Fosdondo, e poi durante il periodo formativo ho continuato a conoscere realtà complesse e umanamente formidabili, come una casa-famiglia a Carpi. Tutte queste realtà mi hanno messo nello spirito della partenza. Poi, in due ore di aereo, eccomi in Kosovo.

L?arrivo
Un Paese che inganna

La prima impressione, quella più immediata, è quella di rinascita, movimento, vitalità: dovunque, lungo le strade, ci sono case in costruzione, cantieri stradali, camion e carri che trasportano materiale edilizio, bancarelle e negozi improvvisati dovunque. Il Kosovo è un Paese che inganna molto. Solo lentamente si entra a contatto con le sue povertà: famiglie che non hanno di che vivere, giovani che come unica prospettiva vedono la fuga, la fatica di vivere tutti assieme pur essendo diversi: rom, albanesi, serbi. È un Paese tipicamente balcanico, molto complesso perché tante sono le culture che vi si intersecano: la cultura albanese, cui appartiene il 90 per cento degli abitanti, la cultura turca che si nota ancora molto, avendo qui dominato l?impero ottomano per quasi 500 anni (l?80 per cento della popolazione è musulmana), le tradizioni e l?impostazione statale slava dovuta alla storia più recente, i contatti con la cultura europea entrata con i primi emigranti che tornavano dalla Germania e dalla Svizzera e poi, prepotentemente, con l?arrivo in massa degli internazionali dopo la violenta guerra del 1999.

La casa
Caotica come piace a me

La scelta dell?organismo in cui opero (Rtm, in collaborazione con la delegazione delle Caritas dell?Emilia Romagna) è quella di entrare in questa realtà in modo il più discreto possibile, quasi in punta di piedi, partendo dalle scelte di casa fino a quelle progettuali. La vita in casa è uno degli aspetti più belli della mia esperienza, perché mi somiglia molto: caotica e frutto di continui fraintendimenti e difficoltà nel capirsi tra di noi.
In questo momento in comunità siamo in cinque, quattro donne e un uomo. Ci svegliamo ogni mattino alle 7, e ci incontriamo per un breve momento di preghiera comunitario. Colazione, e alle 8 iniziano i lavori: arrivano i nostri collaboratori kosovari. Sono quattro, e non avremmo potuto trovarli più diversi. Sono davvero le nostre risorse più preziose. La maggior parte della giornata lavorativa la trascorro con Valentina, la mia collega kosovara; il nostro tempo si divide tra l?attività con i bambini e quella di programmazione, valutazione, preparazione del materiale; e poi incontri ufficiali e visite alle famiglie. Nel nostro lavoro, infatti, è importante relazionarci con coloro con cui collaboriamo e che abbiamo deciso di aiutare, altrimenti rischiamo di perdere di vista la realtà e le difficoltà delle persone che ruotano attorno a noi.
Non rimanere in ascolto, fare le cose ?sopra le loro teste? rischierebbe di farci fare cose magari belle ma inutili, che non rispondono ai loro bisogni o banalmente cui non possono accedere per difficoltà a noi incomprensibili. Questo succede comunque, perché nemmeno un kosovaro sempre al tuo fianco riesce a evitare che tu pensi da italiano, giudichi e operi da italiano. Però aiuta.

La giornata
Tra lavoro e amicizia

Verso l?una ci troviamo a pranzo,tutti assieme: è un momento di festa, estremamente importante nel corso della giornata, in cui tutti e nove attorno allo stesso tavolo condividiamo il cibo, ma anche le fatiche e le vittorie della mattinata. Discutiamo e scherziamo, e per noi italiani è un momento prezioso in cui possiamo relazionarci con i kosovari senza difese, da colleghi. Molto spesso ho capito tante cose della loro cultura proprio durante questi momenti.
Alle 5 del pomeriggio finisce ufficialmente l?orario di lavoro, e Neta, Merita, Valentina e Gjon tornano a casa. Noi? dipende. Soprattutto in inverno le possibilità non sono molte: Klina è un paese di 8mila abitanti, e la sera il centro è deserto. Si può andare all?internet point, certo, ma dopo una giornata così piena preferisco leggere, chiacchierare con gli altri, guardare la tv o preparare la cena. Poi bisogna vedere se c?è l?elettricità, che ogni giorno la compagnia elettrica toglie per due o tre ore (ma possono essere sei, sette…). In Italia, blackout improvvisi a parte, è impensabile che venga a mancare l?elettricità, invece in Kosovo la gente ha imparato a convivere anche con questa incertezza, cui in realtà ci si abitua presto: se non c?è la luce, si aspetta semplicemente che torni.

Il ritorno
Adesso sono più forte

Anche le attività con i bambini, ovviamente, devono essere calibrate sulle stagioni, perché nessuno li viene a prendere quando hanno finito l?animazione, e spesso abitano lontano. Se in estate possono rimanere un po? di più (ma poi devono tornare a casa per portare gli animali al pascolo) in inverno alle 4 li devi far uscire, perché alcuni devono farsi anche un?ora di cammino per tornare a casa. Qui ho imparato a rispettare molto di più i tempi della terra, perché l?uomo qui non è onnipotente come nel resto dell?Europa. Se fa freddo, devi svegliarti prima e aspettare che il fuoco riscaldi la stanza, se viene a mancare l?elettricità la sera vai a letto e basta… Sei molto in sintonia con quello che sta fuori, con il mondo. In Italia i problemi non hanno a che fare con l?elettricità e il freddo, ma spesso possono fare più paura. Spero di essere diventata abbastanza forte per affrontarli.

Alida De Bortoli

SERVIZIO CIVILE IN 400 ESPATRIANO

Se il bilancio italiano di presidenza del semestre europeo non si chiuderà con un nulla di fatto, parte del merito andrà a Massimo Palombi, direttore dell?Ufficio nazionale per il servizio civile. Con il 10 dicembre sono infatti scaduti tutti i termini entro cui 440 volontari avrebbero potuto aderire ai 64 progetti presentati da enti e associazioni nel quadro del bando straordinario per il servizio civile nei 25 Paesi della nuova Ue. A poche ore dalla scadenza, Palombi fa già un primo bilancio: “Dati ufficiali non ne abbiamo, ma posso affermare di aver raggiunto una copertura del 90% dei posti”. Un successo tanto grande quanto inaspettato. Malgrado già quest?anno i progetti nazionali abbiano coinvolto 20mila ragazzi (il 96% donne) con una copertura dell?80% dei posti. “Non mi aspettavo tanto entusiasmo”, dice il numero uno dell?Unsc, “il servizio in Italia è compatibile con lo studio e la vita privata, se si sceglie di trascorrere 9 mesi lontano da casa bisogna rinunciarci”. L?aria d?Europa ha invece stuzzicato la fantasia di molti giovani, allettati fra l?altro da compensi superiori ai 433 euro mensili destinati ai volontari in Italia. Nelle tasche dei volontari europei finisce infatti un contributo aggiuntivo di 450 euro al mese, più vitto e alloggio. I Paesi più gettonati sono stati Polonia (70 volontari), Germania (57) e Spagna (52). L?esperienza di questi ragazzi non finirà però su un binario morto, “anzi sarà il trampolino per un vero servizio civile europeo”, annuncia Palombi, reduce dalla prima conferenza europea del settore, tenutasi a Roma il 28 e 29 novembre. Una seconda conferenza si terrà in primavera. Tre le idee: l?allargamento del servizio dei volontari europei che oggi, disancorato dal servizio civile, impiega non più di 3.500 ragazzi (200 gli italiani), la creazione di una task force continentale per interventi nei Paesi poveri e scambi di volontari (6 mesi in patria e 6 fuori) fra associazioni italiane e partner continentali.

Stefano Arduini

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