Mondo
Adozioni internazionali. Pochi italiani per gli orfani africani
Sono poco più del 4% dei minori accolti in italia. Ancora svantaggiati per ragioni culturali e per oggettive barriere legislative. Come la kafala.
Ucraina: 1.392, Costa D?Avorio: 6. Basta scorrere l?ultimo rapporto della Commissione adozioni internazionali, aggiornato al giugno 2003, per capire quanto poco sviluppata sia l?adozione in Africa rispetto ad altre latitudini. Sui 5.750 bambini adottati in Italia negli ultimi due anni e mezzo, appena 261, cioè il 4,5% proviene dal Continente nero. Eppure, per adottare in Africa non servono procedure diverse rispetto all?America Latina o all?Est Europa: l?iter adottivo è uguale per tutti, i tempi d?attesa sono analoghi, i costi addirittura mediamente più bassi.
I bambini africani “sono bellissimi, hanno vissuto privazioni legate alla povertà ma sono pieni di vivacità e gioia interiore. Il loro inserimento familiare è molto meno problematico di quello dei bambini provenienti dall?Est Europa”, dice Ermes Carretta, papà adottivo e formatore AiBi. E allora perché, nonostante gli enormi bisogni, così pochi bambini vengono accolti da famiglie italiane? “C?è ancora una barriera culturale”, commenta Matilde Azzacconi, presidente di Famiglia e minori, ente autorizzato all?adozione in Camerun. “Più o meno l?1% delle coppie aspiranti all?adozione richiede come Paese di preferenza l?Africa. Il motivo più intimo e forse inconfessato è che si tende sempre a una ricomposizione naturale della famiglia: se vado in giro con un bambino della mia stessa etnia posso anche far pensare che sia mio figlio naturale. Un bambino nero è un?ammissione plateale della propria scelta di accoglienza. E non tutti sono così disponibili ad ammetterla”.
D?altra parte, l?adozione nei Paesi africani si trova all?anno zero. In molti casi le istituzioni locali non la prevedono o non hanno protocolli per la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore. “In Camerun, ad esempio, stiamo partendo da zero”, dice la Azzacconi.
Come in Tanzania, dove “la legge locale permette l?adozione solo se la coppia straniera è stata residente in Tanzania per due anni. Chiaro che può concludersi solo nei rarissimi casi di famiglie che si sono trasferite là per ragioni di lavoro”, spiega Anna Friso, responsabile ?infanzia svantaggiata? di Amu – Azione per un mondo unito. “In molti Paesi l?Aids ha creato una generazione di orfani”, prosegue, “e nelle grandi città dilaga il fenomeno degli street children, che non apparteneva alla cultura africana”.
L?emergenza infanzia è più che mai sentita anche in Etiopia, Paese-leader per l?adozione internazionale, con 230 minori adottati sui 261 totali: “Perché l?adozione lì è ben regolamentata”, spiega Graziella Teti, responsabile adozione del Ciai.
L?adozione, in Africa, si misura anche con la religione islamica e la conseguente regolamentazione giuridica. In Marocco, nel mese di dicembre, AiBi ha organizzato un convegno sul tema della kafala, l?adozione islamica. Questa è molto simile a una presa in carico a tempo indeterminato, ma non determina l?effettiva interruzione dei legami parentali originali. Ciò crea problemi di compatibilità giuridica con l?adozione prevista dal diritto italiano. “è in corso una trattativa tra il nostro governo e quello marocchino”, spiega Irene Bertuzzi, di AiBi. “Speriamo di poter giungere presto a una soluzione di compromesso tra le legislazioni, in modo da garantire anche a questi bambini il diritto a una famiglia”.
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