Mondo
Moore, i perché di un uomo semplice
Recensione del film "Fahrenheit 9/11" di Michael Moore (di Raffaella Beltrami).
di Redazione

Fahrenheit 9/11. Nel nome di Ray Bradbury, un altro processo si compie: nel film di Truffaut del ?66, contro la cultura che rende liberi di pensare con la propria testa e sentirsi vivi, e a Cannes nel documentario di Michael Moore contro un presidente che “è contro i nostri soldati, li ha messi in pericolo solo per riempire le tasche dei suoi amici”. Un processo argomentato, filmato e raccolto negli anni che ci separano dall?11 settembre 2001. Ma ancora in fieri, perché il regista ha rivelato di avere, grazie al produttore Harvey Weinstein e la Miramax, il denaro per poterlo aggiornare.
Lo stile Moore di Bowling a Columbine, documentario che vinse l?Oscar sulla strage di studenti in una scuola, si ripete nell?alternare filmati d?archivio a testimonianze. Come le immagini di soldati disillusi che non faranno piacere all?amministrazione Bush, girate di nascosto da tre operatori in Iraq. Oppure le interviste raccolte dallo stesso autore che raccontano di famiglie distrutte dal dolore della perdita di un figlio in una guerra di cui non comprendono il senso. O di famiglie che sostengono sempre e comunque il Presidente, nel nome della patria: Moore non censura, anzi lascia parlare, perché in un paese libero tutti hanno il diritto di esprimere il proprio pensiero.
Proprio come Moore, che non agisce contro gli americani e l?America, ma contro quel che l?amministrazione attuale sta facendo. Per questo la speranza del regista è trovare un distributore indipendente per l?uscita in sala prima delle presidenziali. Quel che vorrebbe Moore è scuotere gli spettatori sulle realtà nascoste, le relazioni d?affari tra la famiglia Bush e la famiglia Bin Laden. O vicinanze scomode insabbiate, anche mediante la manipolazione di documenti ufficiali. Incalzante nel montaggio, le parole e le immagini scorrono tra l?indignazione, l?ilarità amara, la commozione, la rabbia. Alla fine gli applausi nel Grand Théâtre Lumière sono interminabili, perché in pochi avrebbero il coraggio di presentarsi fuori dal Congresso e chiedere a tutti i membri di mandare i propri figli in guerra. Quello di Moore è un modo di provocare che colpisce per la semplicità, un?acuta semplicità. Da uomo della strada, da cittadino che vuole capire che cosa stia succedendo e perché, di fronte a una richiesta di chiarimenti, si senta rispondere dal primo cittadino degli Usa: “Calmati, Moore, e va? a cercare un lavoro serio”.
Raffaella Beltrami
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