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Le prospettive politiche. Abu Mazen più forte. Se Al Fatah va a congresso

È atteso da decenni. Dovrebbe garantire finalmente un cambio generazionale della leadership (di Janiki Cingoli).

di Redazione

Bush, nelle sue prime dichiarazioni appena rieletto, pressato anche da Blair, ha dato priorità al conflitto mediorientale e alla creazione a breve di uno Stato palestinese. Ma per arrivarvi, sarà necessario affrontare le questioni del Final Status: confini, insediamenti ebraici, rifugiati, Gerusalemme, risorse idriche. Le questioni su cui Ginevra ha apportato un contributo essenziale, colmando i nodi irrisolti di Camp David 2 e Taba.
Non si può pensare, tuttavia, che le parti tornino al negoziato finale come se in questi quattro anni nulla sia successo, come se la violenza e il sangue versato non avessero scavato quell?enorme fossato di odio e di sfiducia tra le parti. L?iniziativa diplomatica deve articolarsi a due livelli: nell?immediato, favorire la ripresa dei contatti tra le parti per concordare il ritiro da Gaza superandone l?unilateralità e agganciandolo alla Road Map; contestualmente, approfondire le questioni affrontate a Ginevra per essere pronti a fare la pace. D?altronde i due campi sono impegnati in un difficile compito di stabilizzazione interna, prima di poter affrontare un accordo definitivo.
I palestinesi sono impegnati nella transizione difficile e complessa del dopo Arafat, e intorno ad Abu Mazen pare addensarsi un consenso sempre più ampio, che ha saputo superare le pressioni e le emozioni delle componenti più giovani e militanti di Al Fatah, che si richiamano a Marwan Barghouti, il giovane leader della nuova intifada, recluso in Israele dove sta scontando molti ergastoli. Abu Mazen dovrebbe vincere senza difficoltà le elezioni del 9 gennaio. La rinuncia di Barghouti ne accentua tuttavia il futuro ruolo, e mantiene aperto il tema del cambio generazionale nella leadership palestinese e della sua democratizzazione interna, attraverso l?annunciato congresso di Al Fatah, dopo rinvii ultradecennali.
Sharon, dal canto suo, è senza maggioranza, dopo che metà del Likud ha votato contro il suo piano di ritiro da Gaza, ma non riesce a formare un governo di unità nazionale con i laburisti, per le resistenze interne al suo partito. Potrebbe quindi essere costretto ad andare ad elezioni anticipate. La situazione mediorientale, che fino a due mesi fa appariva totalmente congelata e bloccata, si è dunque bruscamente rimessa in moto.

Janicki Cingoli*
*direttore del Cipmo Centro italiano per la pace in Medio Oriente

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