Lavoro
Le parole nuove dei diciottenni sul Primo maggio
Quali sono i pregiudizi degli adulti nei confronti dei giovani, quando si parla di lavoro? E loro, come si sentono davanti alla domanda "cosa vuoi fare da grande?". Un gruppo di neomaggiorenni di Wannabe ha tappezzato Cuneo di manifesti, per dire che non vogliono più essere definiti «svogliati, spenti, superficiali». Sono invece «unici, determinati, sognatori, pieni di idee». Li abbiamo incontrati

Come lo smonti un pregiudizio? Tappezzando i muri di una città. Un gruppo di ragazzi con base a Cuneo, in Piemonte, un anno fa ha riempito vie e piazze della città con otto manifesti dai colori accesi. «Volevamo attirare l’attenzione», scherzano. Una frase (sempre la stessa) in alto e una parola grande, grandissima, al centro. “Voi giovani siete tutti… alcolizzati, viziati, pigri, cannati, vittimisti, depressi. Attaccati al telefono. Pecore”. E in basso la risposta: “Se continuate a dirlo, continueremo a crederci”. Alla vigilia del Primo Maggio, quando il lavoro accende riflessioni, ma anche vecchi e nuovi pregiudizi, noi quei ragazzi siamo andati a cercarli. Perché, come dicono loro, 18 anni o poco più, «lo stereotipo è sempre molto evidente, mentre la realtà chiede di essere osservata da vicino».

Un’azione di guerrilla marketing
Ripensare, riprogettare, riscrivere e vivere Cuneo secondo nuove direzioni under19: è con questa volontà che è nata Giovani Wannabe, piattaforma di attivazione giovanile coordinata da noau | officina culturale insieme a Comune di Cuneo, compagnia teatrale Il Melarancio, cooperative Emmanuele e Momo, Seven Stars Moovement, Istituto Bonelli ed Eclectica+, con il sostegno della Fondazione Crc.
«Uno spazio di espressione, confronto e partecipazione sui bisogni delle nuove generazioni, per sollecitarne la presenza, far emergere le loro voci, sostenerle nel riappropriarsi degli spazi della città», raccontano Francesca Perlo e Luisa Pellegrino, rispettivamente project manager e animatrice culturale di noau. «Tutto è iniziato nell’autunno 2023 quando alla call rivolta a ragazze e ragazzi tra i 16 e i 18 anni hanno risposto più di 100 giovani. Abbiamo composto cinque gruppi di lavoro con cui abbiamo avviato un percorso di un anno: ore di formazione, impegno, discussione, produzione, ma soprattutto ore di benessere». E i manifesti? «Una campagna in stile “guerrilla marketing” per smontare i pregiudizi che le persone adulte hanno nei loro confronti. I giovani sanno che gli stereotipi sono infondati, ma influenzano le loro vite».

Oggi molti di quei ragazzi sono maggiorenni, stanno per prendere le decisioni sul futuro. Rintracciarli non è semplice, hanno un sacco di impegni, ma alle operatrici di noau rispondono sempre. Ne abbiamo raggiunti sette, una piccola delegazione in rappresentanza di tutti gli ideatori dei manifesti. Hanno accettato l’invito di VITA a scriverne altri, questa volta con focus esplicito sul lavoro, un argomento su cui i luoghi comuni si sprecano. Ne è nato un elenco di parole: quelle che non vogliono più sentirsi dire e quelle che, con forza, rivendicano per la loro generazione.
Abbiamo realizzato una campagna in stile “guerrilla marketing” per smontare i pregiudizi che le persone adulte hanno nei nostri confronti. I giovani sanno che gli stereotipi sono infondati, ma comunque influenzano le loro vite
Francesca Perlo e Luisa Pellegrino, noau
Voi giovani non volete lavorare
Palazzo Samone è un edificio storico infilato in una via pedonale nel cuore di Cuneo. Qui c’è la sede dell’assessorato alla Cultura, ma anche una stanza libera in cui incontrarsi. I “Giovani Wannabe” sono già arrivati e sono coloratissimi, parlano fitto tra loro.

Syria Fiore ha 18 anni, occhi grandi e un maglione verde: «Faccio l’artistico, vivo a Cuneo e sul lavoro sento ripetere sempre la stessa frase, che noi giovani non vogliamo fare niente, non ci impegniamo e via dicendo». Amy Marin, capelli lunghi e occhiali tondi, ha la stessa età: «Sono di Roccavione, un posto circondato dai campi, studio al liceo linguistico. Il pregiudizio più diffuso sul lavoro? Che i giovani sono pigri e poco realisti. Molti, ad esempio, vogliono fare professioni che gli adulti non comprendono». Iris Lavalle, 18 anni e un viso sorridente: «Di noi ragazzi si dice che non abbiamo voglia di soffrire, come se il lavoro fosse qualcosa a cui soccombere». Ad Alex Morelli, appena maggiorenne, piacerebbe lavorare in ambito artistico, «anche se molti pensano non sia qualcosa di utile per la società e che noi giovani ci concentriamo troppo su quello che ci piace e troppo poco sull’importanza di essere produttivi». Alessio Gjokaj, 19 anni, vive in una piccola frazione di Cuneo: «Non abbiamo voglia di fare i lavori duri, faticosi, noiosi… devo continuare?». Ci pensa Giulia Musso, 18 anni, studentessa al liceo linguistico: «Abbiamo aspettative troppo alte». Pietro Mellano, terza liceo al classico, ribalta la questione: «Le aspettative le hanno gli adulti. In generale, noi giovani abbiamo sempre la risposta sbagliata agli occhi degli adulti. Ad esempio, non è vero che non abbiamo voglia di imparare: in un’era digitale in cui si sta molto fermi, siamo una generazione che vuole mettersi in gioco, anche con le mani».
“Da grande”, una domanda che paralizza
Come vi sentite quando vi chiedono “Cosa vuoi fare da grande”? «Non lo so», dice Syria. «È come se gli adulti volessero per noi una specie di futuro garantito, anche se dovesse trattarsi di un ambito che non ci piace. Mi sento un po’ paralizzata, non so che risposta dare perché o dico una cosa che vorrei fare ma non facile da realizzare oppure dico una cosa che agli occhi del mondo appare sicura». Per esempio? «Medicina».
È come se gli adulti volessero per noi una specie di futuro garantito, anche se dovesse trattarsi di un ambito che non ci piace
Syria Fiore, 18 anni
Amy invece prova soprattutto fastidio, «perché sembra si voglia mettere fretta. Lo so, sto finendo la scuola, dovrei fare una scelta, però io sono una che vive nel momento. Credo nell’importanza di non pensare troppo in là nel futuro e quindi quando a scuola sento parlare di pensioni, mi sale l’angoscia», sorride. «È come se prendendo una decisione potessimo rendere il futuro un po’ più stabile. Io a volte penso all’anno sabbatico, che non significa non voler fare niente, vuol dire che voglio vivere esperienze, misurarmi, capire cosa desidero. Quando lo dico, però, mi chiedono sempre: sei sicura? Insomma, per me non è una delle domande migliori, ne preferisco altre».

Quando le chiedono cosa vuol fare da grande, Iris in parte è felice, «perché ho un futuro a cui pensare, ci sarà qualcosa a cui dedicare del tempo e in cui mettere la mia energia. Sono felice di riflettere su me stessa e su quello che voglio fare». C’è un però, «sì, perché dall’altro lato mi sento un po’ soffocare, come se dovessi assolutamente sapere cosa voglio, altrimenti c’è qualcosa che non va». Fa una pausa, poi aggiunge: «Dipende anche molto dalla persona che pone la domanda, perché se è aperta all’innovazione, quel senso di paura pesa di meno».
Io a volte penso all’anno sabbatico, che non significa non voler fare niente: vuol dire che voglio vivere esperienze, misurarmi, capire cosa desidero davvero
Amy Marin, 18 anni
«Io ci rimango un po’ male», aggiunge Alex, «perché è sottinteso che si parli soltanto di lavoro. Pensano si debba soltanto guadagnare o che sia una professione a far sentire le persone realizzate. In realtà la vita inizia fuori dal lavoro secondo me. Non sempre chi la pone ha voglia di ascoltarti, di conoscere i tuoi piani futuri senza svalutarli». Giulia la pensa allo stesso modo: «In fondo, non so rispondere perché dovrei dire un sacco di cose insieme che non si possono riassumere in una frase. È una domanda che mette pressione». Alessio si definisce fortunato perché «ho scelto una scuola che mi piace molto, il liceo linguistico. Se avessi sbagliato quella decisione, forse adesso sentirei di aver sprecato questi anni e avrei dei dubbi su cosa fare dopo. Io invece ho le idee chiare e, se l’intelligenza artificiale non sostituirà il lavoro dell’insegnante, proverò a fare quello».

La fuga all’estero? Sopravvalutata
Inverno demografico, fuga di talenti, Italia ultima per incidenza di giovani, ben sotto la media dell’Unione Europea. Vi spaventano queste analisi? Syria non è preoccupata: «Ci sarà sempre qualcuno che avrà bisogno di voci nuove e i giovani sono portatori di politiche e idee innovative». Pietro immagina che «in futuro i giovani saranno sempre più richiesti, come una specie rara, in via di estinzione. C’è la possibilità che le nostre opinioni assumano valore, diventino preziose. In fondo, siamo la generazione che ha studiato negli anni della pandemia, credo che il modo in cui abbiamo affrontato quell’esperienza possa rappresentare un punto di forza a nostro favore». Interviene Alex: «Io penso che nelle aziende la maggioranza delle persone saranno molto più grandi di noi e meno avvezze alle nuove tecnologie. Questo potrebbe essere un problema».

Sette ragazzi non fanno statistica, ma in questo cerchio la maggioranza tra dieci anni si vede in Italia, non all’estero. Iris la spiega così: «Mi rendo conto che il nostro Paese è meno attraente rispetto ad altri, per questo credo abbia bisogno di un po’ di spinta da parte nostra. Se me ne andassi, in ogni caso vorrei tornare: io la sento la responsabilità che abbiamo noi giovani, se la ignorassi sarei un’ipocrita». Pietro non è d’accordo: «Non possiamo mica prenderci tutte le colpe… E poi vorrei dire una cosa su questo Paese: è vero che qui ci sono tanti problemi, ma ci sono un sacco di aspetti positivi, spesso ce ne dimentichiamo». Amy pensa al fenomeno dei nomadi digitali, Giulia crede che l’idea di andare all’estero sia «un po’ idealizzata sui Social».
C’è chi pensa si debba soltanto guadagnare o che sia una professione a far sentire le persone realizzate. In realtà la vita inizia fuori dal lavoro secondo me
Alex Morelli, 18 anni
Oltre le paure, parole nuove
La paura più grande rispetto al mondo del lavoro? I ragazzi sono un fiume in piena. «Lo stipendio troppo basso, da non riuscire a viverci, e il non essere soddisfatta: dover lavorare ogni giorno facendo una cosa che non mi piace». «Lo stress». «Fare un lavoro soltanto per guadagnare e non perché mi rende felice». «Svolgere una professione che non mi rappresenta». «Fare lo stesso mestiere per tutta la vita». «Trovare un ambiente di lavoro tossico».

Ci vuole coraggio a chiedere agli adolescenti cosa pensano del mondo adulto, ma la domanda l’ho fatta lo stesso. Che idea vi siete fatti sul lavoro, osservandoci? «Io vedo tanta insoddisfazione: c’è chi ha studiato e poi alla fine si è ritrovato a fare più di un lavoro per avere un’entrata congrua. Ho paura che possa succedere anche a me». «Ho capito che un po’ di stabilità la devi avere perché ti dà sicurezza, ma anche che il lavoro dei tuoi sogni puoi cercarlo per tutta la vita». «I miei genitori fanno due mestieri molto tradizionali, mi hanno trasmesso un’idea del lavoro come qualcosa che dà dignità, qualcosa a cui dare valore». «Ho due genitori che amano quello che fanno, quindi penso che il lavoro sia un’esperienza con cui mettersi in gioco, che diverte, bella». «Ho imparato che a volte la vita ti spiazza: per quanto noi possiamo fare programmi, sognare e studiare, ci sono strade che ci troviamo a percorrere senza averle scelte».
Un pomeriggio a Cuneo con i Giovani Wannabe regala parole nuove. Non vogliono più essere definiti «svogliati, incoscienti, spenti, superficiali, senza futuro, menefreghisti. Ignoranti». Sanno di essere «unici, innovativi, curiosi, determinati, sognatori». Sono «vivi».
Al rapporto dei giovani con il lavoro è dedicato il numero di VITA Magazine di maggio, che uscirà la prossima settimana.
Le fotografie sono dell’autrice dell’articolo
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