Incontri
Oltre l’odio: dopo il Bataclan, l’inattesa amicizia tra il padre di una vittima e quello di un terrorista
Nel 2017, quattordici mesi dopo l'attentato al Bataclan, Georges Salines, che ha perso la figlia Lola, riceve una mail da Azdyne Amimour, il cui figlio Samy è tra gli attentatori. Inizia così un dialogo sorprendente che li porterà a un profondo rapporto, nel tentativo di evitare che alla violenza si risponda con la violenza. Li abbiamo incontrati

«Per me è stato naturale, mi è venuto da far così». Azdyne Amimour non sa spiegare perché nel febbraio del 2017 ha deciso di inviare una mail a Georges Salines, chiedendogli di incontrarlo. Per lui è stata una cosa assolutamente normale, che, spiega, forse viene dal bagaglio di esperienze che ha fatto nella vita. Per molti, però, è difficile capire questa “normalità”, così come è difficile comprendere le ragioni che hanno spinto Salines ad accettare l’invito.
Sua figlia, Lola, infatti, il 15 novembre 2015 è stata uccisa nell’attentato di matrice islamica del Bataclan, a Parigi. Il figlio di Amimour, Samy, era invece tra gli attentatori: è stato ucciso dalla polizia. Incontrandosi, i due padri hanno dato vita a un dialogo che li ha portati alla comprensione reciproca e di qui a un’amicizia attraverso cui cercano di evitare che attorno a episodi simili si crei un clima d’odio nei confronti degli attentatori.
«Fin dall’indomani della strage», ha spiegato Salines in un incontro all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, «mi sono detto che non dovevamo rispondere alla violenza con la violenza. Dovevamo, piuttosto, capire cosa fosse accaduto, il perché alcuni giovani fossero andati ad uccidere dei loro coetanei». Così, oltre a mettere in piedi un’associazione dei parenti delle vittime della strage, Salines ha incominciato a incontrare le madri di alcuni ragazzi che si erano arruolati in Siria per combattere il jihad. «Ho percepito il dolore immenso di queste madri che avevano perso i figli e questo dolore ci accomunava. Così ho capito che anche le famiglie dei terroristi possono essere vittime e anche gli stessi attentatori».
Nel febbraio 2017, 14 mesi dopo, Salines ha ricevuto una mail da Amimour. I due non si conoscevano e Amimour chiedeva un incontro, così si legge, «per parlare di questo tragico evento perché anche io mi sento vittima quando si parla di mio figlio». Al tempo, Amimour stava scrivendo un libro per raccontare la propria drammatica storia di padre di un terrorista, ma sentiva l’esigenza di incontrare Salines. «Mi sono detto: non ho niente da perdere, lo contatto», ha raccontato Amimour in Cattolica.
Il primo incontro è stato in un caffè parigino e con loro c’era anche Aurelia Gilbert, sopravvissuta all’attentato. A lei e a Salines ha spiegato che no, la sua non è una famiglia di terroristi e che non lo era mai stata, che suo figlio Samy aveva avuto una vita normale, bella e che mai si sarebbe aspettato questa radicalizzazione. «Dal primo giorno», ha detto Salines, «sono stato sedotto, affascinato da Azdyne e dai suoi sforzi di riportare a casa il figlio». Ben prima di quella sera al Bataclan, infatti, Amimour era andato in Siria, proprio lì nei territori dello Stato islamico, per incontrare suo figlio e provare a convincerlo a tornare a casa. «Non volevo rimpiangere di non aver fatto nulla», ha raccontato, «ma me ne sono tornato, come si suol dire, con la coda tra le gambe».
Il loro incontro è una sorta di percorso di giustizia ripartiva nato in maniera spontanea, senza mediazione, scaturito solo dalla volontà di capire e dall’obiettivo di «evitare che il terrore e l’orrore di quanto accaduto diventassero il pretesto per una forma d’odio diretto contro tutti i musulmani», come ha sottolineato Salines. Insieme hanno scritto un libro, A noi restano le parole. Dopo il Bataclan: dialogo tra il padre di una vittima e quello di un terrorista, pubblicato nel 2020.
In questi anni hanno incontrato i terroristi nelle carceri e i parenti delle vittime e o i sopravvissuti. Non sempre è stato facile farsi capire, soprattutto da questi ultimi che a volte trovano inconcepibile incontrare qualcuno che ha procurato loro un dolore immenso. Ma, assicurano Salines e Amimour, loro non fanno proselitismo di alcun genere. «Mi basta essere felice che alcune persone riescano a liberarsi dall’odio», ha detto Salines. Semplicemente, raccontano la loro amicizia, nata dal dialogo. Perché a volte, per evitare di chiudersi in se stessi e contro gli altri, rimangono solo le parole.
In apertura: Georges Salines, a destra, e Azdyne Amimour, di spalle a sinistra, insieme nel gennaio 2020 ((AP Photo/Francois Mori/LaPresse)