Cultura

Psichiatria, quanto male fa la guerra?

Gli esperti dell'università di Modena parteciepranno a un progetto europeo che gli effetti a lungo termine delle guerra sulla salute mentale

di Redazione

Studiare gli effetti a lungo termine delle guerra sulla salute mentale: e’ l’ obiettivo della ricerca internazionale CONNECT, finanziata dalla commissione europea e che vede l’ Italia in prima linea tra i partecipoanti, presentata oggi in occasione del decimo congresso della Societa’ Italiana di psicopatologia (Sopsi). Oggi nel mondo sono milioni le persone affette da disturbo post-traumatico da stress: solo nella ex Jugoslavia si calcola che il 29,2% dei rifugiati, il 75% degli sfollati e l’ 11% dei civili residenti presentino gravi disturbi psicologici dovuti appunto all’ esperienza vissuta durante la guerra. Il progetto CONNECT e’ finanziato dalla commissione Ue con circa due milioni di euro: vi partecipano otto universita’ di sette Paesi, tre dell’ unione europea (Germania, Regno Unito e, per l’ Italia, l’ universita’ di Modena e Reggio Emilia) e quattro dell’ ex Jugoslavia (Bosnia-Erzegovina, Croazia, Serbia-Montenegro e Macedonia). Lo studio durera’ tre anni e prevede l’ intervista di 250 profughi in ciascuno dei paesi Ue e di 640 civili residenti in ciascuno dei Paesi partecipanti dell’ ex Jugoslavia. In Italia, ha sottolineato lo psichiatra, Gian Maria Galeazzi, dell’ universita’ di Modena, e tra i coordinatore dello studio internazionale, ”si stima che siano circa 17 mila i profughi provenienti dalla ex Jugoslavia. Noi ne intervisteremo un campione di 250 con l’ obiettivo, appunto, di valutare gli effetti a lungo termine dell’ esperienza bellica vissuta e fare luce sui bisogni di queste persone sradicate dalla propria realta’ e catapultate in un Paese diverso”. E’ infatti ”difficile – ha concluso Galeazzi – pensare di potersi liberare definitivamente dalla piaga della guerra, ma proprio per questo e’ importante, oggi piu’ che mai, pianificare quali siano gli interventi piu’ opportuni in aiuto delle popolazioni colpite sulla base di dati attendibili che oggi ancora mancano. Lo studio europeo va appunto in questa direzione”.

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