Narrazioni
A teatro, come se fossimo a bordo con i migranti
Due componenti del gruppo bolognese Kepler-452 hanno partecipato ad una missione di salvataggio di una Ong tedesca. Poi hanno deciso di restituire l’esperienza con uno spettacolo che è come giornalismo in presa diretta. Visto al festival Life organizzato da Zona K a Milano

Decidere di imbarcarsi a Messina sulla nave di una Ong, la Sea-Watch 5, n partenza per soccorrere i migranti nel Mediterraneo centrale. Vivere tutta l’esperienza di convivenza con l’equipaggio tedesco, dalle regole molto rigide e con filosofia vegana. Partecipare al salvataggio di due gruppi, 156 persone complessivamente, in rotta verso l’Italia. Accoglierli, conoscerli, anzi “scoprirli” navigando con loro per quasi una settimana in direzione di La Spezia. E poi alla fine di questa esperienza chiedersi con quali parole raccontarla. È questo in sintesi il percorso fatto da Nicola Borghesi ed Enrico Baraldi, componenti del gruppo teatrale Kepler-452: il primo ha tenuto conto di tutto con un diario, il secondo ha documentato con una telecamera. Come ha raccontato Borghesi, «scesi dall’imbarcazione, di fronte ai primi “allora, come è andata sulla Sea-Watch?”, le risposte possibili erano due: “tutto bene, grazie, è stato molto intenso”; oppure “ce l’hai un’ora, che ti racconto?”». È così che è nata l’idea di “La Zona Blu”, una lettura di appunti in forma di diario di bordo, accompagnata da immagini documentarie originali proposta all’interno del festival Life 20245 organizzato a Milano dall’associazione Zona K. Borghesi è sul palco con un leggio davanti. Al suo fianco il contrabbasso con campionature elettroniche di Francesca Baccolini. Baraldi invece alla regia per mandare le immagini su un grande schermo che prende tutta la schermo.

Quella a cui assistiamo è una restituzione assolutamente personale, che registra tutto lo spiazzamento, le difficoltà, le paure di una simile avventura. Non c’è una “beatificazione” a prescindere di chi viene salvato: si parla anche di facce che sembrano da tagliagola che non ti augureresti di incrociare in un vicolo. Non c’è pietismo, perché non la realtà non lascia spazio ad atteggiamenti di questo tipo. Il diario di Borghesi dalla catalessi dei lunghi giorni di attesa sotto le regole ferree dell’equipaggio passa poi alla concitazione dei salvataggi, allo stupore davanti a volti che non si erano immaginati. È un crescendo di sguardi che non erano stati messi sul conto, di incontri, di dialoghi complicati per via della lingua ma comunque profondi. Il racconto raccolto dalla voce di un minorenne partito dalla Somalia e imbarcatosi dopo un attraversamento di mezzo continente s’interrompe con un taglio che è singhiozzo di pianto, quando arriva al punto in cui viene a sapere della morte del padre. Quel padre che gli aveva detto di partire e che lo aveva coperto a distanza in questa sua odissea.

Poi c’è la sorpresa delle sorprese: quando l’equipaggio per accompagnare le giornate manda la musica secondo una playlist raccolta tra i migranti e si scatena il ballo e la festa. «Mai vista una festa così», dice Borghesi. Mai vista tanta voglia di vita. All’arrivo, quando all’orizzonte spunta il verde delle coste italiane, Borghesi annota: «Non ho mai visto guardare l’Italia con occhi così». E poi sintetizza la lezione recepita da questa esperienza: «Il fenomeno dei migranti è qualcosa come il firmamento: immenso e non contenibile in uno sguardo. L’unica possibilità di racconto è nello scorporare questo “immenso”».

“La zona blu” è la versione concertistica di uno spettacolo che ha già debuttato a Bologna e che arriverà al Piccolo Teatro di Milano “A place of Safety” dove in scena insieme a Borghesi ci sono alcuni dei protagonisti della missione chiamati ad essere attori e a interpretare se stessi.
Credit foto: Luca Del Pia
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