Scenari
Filantropia, le nuove sfide di Bill Gates nell’America che cambia
La scelta di Bill Gates, che ha annunciato l’intenzione di donare 200 miliardi di dollari del suo patrimonio personale alla sua fondazione, arriva in un momento di cambiamenti che coinvolgono anche il rapporto tra organizzazioni filantropiche e beneficiari. Ne parliamo con Federico Mento, direttore di Ashoka Italia, esperto di filantropia e di economia sociale. La sfida? «Incorporare nuovi principi, rendere più orizzontale l'approccio filantropico, provare ad usare nuovi strumenti, avvicinarsi ad un approccio trust-based e a lavorare sulla cultura filantropica, assottigliando il gap che c'è tra cultura del controllo e cultura della fiducia»
di Alessio Nisi

Nessun organizzazione filantropica privata può farcela da sola. Neanche se sei la fondazione che porta il nome di uno degli uomini più ricchi del mondo. Nessuna “è in grado di colmare il vuoto lasciato dai tagli agli aiuti internazionali da parte del mondo sviluppato. Gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Francia e altre paesi stanno tagliando il bilancio destinato agli aiuti nell’ordine di decine di miliardi di dollari. Nessuna organizzazione benefica, nemmeno se grande quanto la Gates foundation, può colmare questo enorme vuoto di fondi”. È uno dei passaggi del lungo messaggio con cui Bill Gates ha annunciato l’intenzione di donare 200 miliardi di dollari del suo patrimonio personale (il 99% di quanto possiede) alla sua fondazione benefica, che sarà chiusa definitivamente il 31 dicembre 2045, anni prima rispetto a quanto previsto in precedenza. QUI il testo integrale di “My new deadline: 20 years to give away virtually all my wealth”.
Una scelta che cade in un momento in cui i governi, compresa l’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, stanno riducendo i bilanci per l’aiuto internazionale destinato a prevenire malattie mortali e carestie. L’annuncio è arrivato In una fase storica in cui la Casa Bianca è intenzionata a ridurre gli aiuti internazionali con la chiusura, tra gli altri programmi, di Usaid.
Un cambiamento che coinvolge l’essenza stessa dell’azione filantropica. Ne parliamo con Federico Mento, direttore di Ashoka Italia, esperto di filantropia e di economia sociale.

Mento, in un passaggio del suo messaggio Gates ha scritto: “Un aiuto sostanziale dovrebbe arrivare da chi può contare su grandi ricchezze. Speriamo che altre persone facoltose riflettano su quanto potrebbero accelerare i progressi per i più poveri aumentando il ritmo e l’entità delle loro donazioni”.
Bill Gates è sempre stato un filantropo in grado di creare delle grandi iniziative multistakeholder e che ha sempre spinto perché altri filantropi si impegnassero a donare. Penso alla Gavi Alliance, impegnata sul fronte dei vaccini, ma anche a The Giving Pledge, creata nel 2010.
Parliamo della scelta di Gates di consumare gli asset della fondazione, portando a esaurimento la sua missione.
Altre fondazioni del mondo statunitense, quelle che hanno un loro endowment (un fondo di dotazione destinato a garantire la sostenibilità a lungo termine dell’ente) stanno decidendo di cambiare meccanismo di finanziamento, investendo nella comunità direttamente il patrimonio. Come ha annunciato Bill Gates.

È una messa in discussione del modello filantropico prevalente.
Anziché i rendimenti, si sta affermando questo: usiamo il patrimonio.
Perché questo cambio di paradigma?
La situazione sociale da un punto di vista dei bisogni è molto complessa e di conseguenza va affrontata con risorse ingenti. Certo, non sappiamo come i 200 miliardi annunciati da Gates verranno investiti. Vero è che è un cambio di paradigma rispetto al passato. Un cambio che avviene nell’ambito di una fondazione che, nonostante elementi innovativi, si muove nel solco della tradizione. Soprattutto per quello che il rapporto con le organizzazioni della società civile.
Proprio il rapporto tra fondazioni e organizzazioni della società civile è in discussione. Pensiamo alla filantropia trust-based, centrata su un rapporto più paritario e di collaborazione tra donatori e organizzazioni beneficiarie, basato sulla fiducia, la trasparenza e la reciprocità.
La filantropia trust-based rovescia completamente la relazione che c’è tra le organizzazioni della filantropia e le organizzazioni della società civile. Rompe o cerca di rompere i rapporti di potere che vi sono, diciamo, insiti nel gesto della filantropia. Ragiona attorno ai bias che vi sono e risente molto dei movimenti degli ultimi 10 anni, come Black life matters, ponendosi il tema di come le comunità non rappresentate debbano essere rappresentate dentro l’azione filantropica. La filantropia trust-based ha anche una dimensione politica. Non è un caso che quest’approccio filantropico sia assimilato al wokismo dall’attuale amministrazione politica.
Date queste spinte, come dovrebbe o potrebbe muoversi la Bill Gates foundation?
Una fondazione come quella di Bill Gates, con un portafoglio così consistente, dovrebbe provare a ragionare in termini di sperimentazioni. Un esempio? Lavorano su alcuni bisogni consolidati e potrebbero provare a spostare parte del loro portafoglio nella sperimentazione di meccanismi intraspace. Potrebbero provare anche a mettere in discussione alcuni principi dell’azione filantropica rispetto alla simmetria di potere. Gates è ancora in uno scherma che potremmo definire verticale con le organizzazioni. C’è la necessità di incorporare nuovi principi, di rendere più orizzontale l’approccio filantropico, provare ad usare nuovi strumenti, ad avvicinarsi ad un approccio trust-based e a lavorare sulla cultura filantropica, assottigliando il gap che c’è tra cultura del controllo e cultura della fiducia.
In apertura foto credits AP Photo/Ted S. Warren/LaPresse
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