Memoria
L’antimafia che non c’era
Affidare ai più giovani la memoria di una stagione di stragi che il 23 maggio e il 19 luglio del 1992 hanno toccato l'apice con la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino insieme alle loro scorte. Nella giornata che ricorda l'attentato di Capaci sono proprio loro, che in quei tragici giorni di 33 anni fa non erano neanche nati, a dirci di essere pronti da tempo a prendere in mano il testimone e a dare un senso a un'antimafia che ha sicuramente perso smalto e spesso anche la strada

Disinteressati o disillusi? Privi di memoria o non messi nelle condizioni di trarre il meglio delle battaglie portate avanti dalla precedenti generazioni e, consci anche dei tanti errori fatti, costruire un futuro nel quale non si debba ricominciare tutto da zero? Ripartendo da un’antimafia sociale che non sottostia a logiche di appartenenza.
Non erano ancora nati, forse non erano neanche nelle più rosee previsioni dei loro genitori, i giovani che oggi animano le piazze e che, in occasione di una giornata come quella odierna, in cui non basta più ricordare che in quel pezzo di autostrada all’altezza di Capaci, alle 17. 58 di 33 anni fa, una carica di tritolo annientò, spazzò via la vita di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Non c’erano neanche quando, pochi mesi dopo, domenica 19 luglio, la stessa tragica sorte toccò al giudice Paolo Borsellino e ai suoi cinque angeli custodi, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Don Luigi Ciotti ricorda sempre che il nostro Paese ha un debito con l’80% di familiari di vittime innocenti che ancora non conosce la verità sui propri cari
Jamil El Sadi, associazione “Our Voice”
Non c’erano, ma è come se sentissero tutta la responsabilità di avere avuto passato il testimone e di dovere agire, fare qualcosa di concreto. Anche perchè le due ultime stragi in ordine di tempo non viaggiano da sole. Portano con loro il carico di tutti quei caduti che la stessa Libera elenca ogni 21 marzo, ricordandole come vittime innocenti delle mafie. Le stesse, e forse anche di più, che uno storico quotidiano come ‘”L’Ora” ricordava giornalmente, titolando con la progressiva numerazione. Stragi “strillate” quotidianamente, la cui eco, nei ricordi di chi era lì e assisteva impotente, non ha mai avuto fine.

Vedere, quindi, che una ricorrenza come il 23 maggio è oggi vissuta soprattutto da giovani e associazioni studentesche, che scorrerano lungo le strage cittadine fieri nella decisione di rivendicare uno spazio e un ruolo di centralità per l’antimafia sociale fa ricredere su tante cose.
«Ovviamente non c’eravamo», afferma Marta Capaccioni, 25 anni compiuti proprio oggi, curatrice degli eventi dell’associazione “Our Voice“, realtà di giovanissimi impegnata sul fronte della difesa dei diritti, «ma scendiamo in piazza con le testimonianze di chi ci ha raccontato quello che è successo nel ‘92 e le proteste portate avanti dopo le stragi dal movimento antimafia e dai suoi protagonisti, a Palermo e in Italia. Cerchiamo di riprendere le loro battaglie, ma anche di portare una voce nuova, attualizzata, perché non vogliamo che queste giornate si fermino solo al ricordo di figure che sono state così importanti nel nostro Paese. Se parliamo di Giovanni Falcone, per esempio, ci dobbiamo riferire alla legislazione antimafia che lui ha ideato, ispirato e che da anni sta venendo smantellata, pezzo per pezzo. Una legislazione che è stata un simbolo e un modello in tutto il mondo, di ispirazione per tanti altri Paesi europei e del mondo. Anche la legislazione sui collaboratori di giustizia è stata uno strumento fondamentale per comprendere le strutture interne alla mafia, ma anche per svelare le complicità che ci sono state da parte di esponenti della politica e delle istituzioni. Quello che noi giovani vogliamo, quindi, portare è una voce di un’antimafia il più possibile intersezionale e, come già fecero Peppino Impastato e Pio La Torre, solo per fare due esempi, collegare i fatti le questioni e le problematiche, parlando di una lotta alla mafia e alla corruzione, ma anche di lotta appunto contro il finanziamento delle armi. Battaglia portata avanti da Pio La Torre a Comiso che non possiamo dimenticare».
Un’eredità importante, quella che arriva da chi le battaglie nel ’92 le portava avanti da tempo e che oggi chiede ai più giovani un impegno forte. Spesso, però, chiedendo loro di fare bene, fare sempre meglio
«C’è da dire che Palermo è una città che non ti permette di stare a guardare», sottolinea Andrea La Torre, 19 anni, che in piazza scende rappresentando il collettivo giovanile Attivamente, «anche perchè quasi ogni strada ha una lapide o qualcosa che ricorda un caduto, una vittima, un evento tragico. Ci si deve proprio sforzare per non vedere. Io ho sentito parlare di mafia a 14 anni e da allora ho cercato di carpirne di più. Oggi come 50 anni fa si dice sempre che la mafia non esiste, ma è chiaro che lo dice chi ha interessi specifici o chi non ne ha assolutamente. Quello che succede nei social, per esempio, è gravissimo, perché mentre passa una serie di contenuti che richiamano palesemente alla violenza, alla mafiosità, allettando con la possibilità di fare soldi facili. E il paradosso è che profili come tanti del genere che nascono e crescono su Tik Tok non vengono toccati, mentre quello di una persona come Salvatore Borsellino viene bloccato. Qual è la ratio?».

Presenti, capaci di impegnarsi, decisi e desiderosi di cambiare il mondo, ma ispirati da quali esempi?
«La scuola avrebbe un grande ruolo, ma di insegnanti illuminati non dico che ce ne sono pochi, ma neanche tanti», riflette amareggiato Omar Fardella, 16 anni, che nel Collettivo Rutelli di cui fa parte vede tutta l’energia che ci vuole per costruire nuovi percorsi di legalità. «I libri di storia, per esempio, non raccontano nulla della mafia. Non c’è proprio neanche un capitolo che ne parla. C’è una narrazione molto comoda. Per esempio, alle elementari mi portavano nelle caserme, mi raccontavano di Falcone e Borsellino, ma in qualche modo si vedeva lo Stato come una cosa totalmente depurata dalla mafia, un contrasto molto semplificato. Io sono stato fortunato perchè a casa abbiamo sempre parlato di questi temi, ma per me non è mai stato sufficiente sono andato alla ricerca di un di più. Mi piacerebbe che la storia facesse il suo ciclo il più velocemente possibile. Perché come è successo, ad esempio, nel ventennio fascista, dal quale siamo usciti fuori ma con troppe vittime, possiamo vedere oltre e capire verso dove non dobbiamo andare».
Ma poi, alla fine di tutto, quando oggi si parla di antimafia, a cosa ci si riferisce veramente?
«Cos’è fare oggi antimafia? Sicuramente vuold dire parlare delle istanze dei quartieri, quelle sociali», commenta in conclusione Jamil El Sadi, 26 anni, giovane palestinese che a Palermo si occupa della comunicazione dell’associazione “Our Voice”. «In piazza, per esempio, i cartelli di movimenti, collettivi e associazioni giovanili portano tre temi: diritti sociali, verità e giustizia. Oggi non possiamo parlare di antimafia senza considerare i disagi che vivono le periferie. Significa parlare di lavoro giusto, ben retribuito e sicuro, di sanità efficiente, di istruzione, altrettanto efficiente e pubblica. Non devono esistere vuoti perchè, laddove si creano vuoti, si insinua la mafia, questo Stato parallelo che subiamo da sempre. Parliamo anche di verità e giustizia perché purtroppo, ancora oggi, a partire dalla strage di Portella della Ginestra, magari sappiamo tutto sull’ala militare, l’organizzazione terroristica, mafiosa o neofascista che l’ha programmata ed eseguita, ma non sappiamo nulla dei mandanti. Un Paese dove ci sono sempre mezze verità non si può dire democratico. Come dice Don Ciotti, si deve restituire il debito all’80% di familiari di vittime innocenti che ancora non sa la verità sui propri cari. Questo dobbiamo fare, questa la responsabilità che sentiamo noi giovani nei confronti del nostro passato e del nostro prossimo futuro».
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