La mobilitazione

Stefania Proietti: «Il mio sciopero della fame per non smettere di credere nella pace a Gaza»

Dialogo con la governatrice dell'Umbria che ha aderito all’appello della Rete di Trieste e dal Mean, Movimento europeo di azione nonviolenta. «Troppo innocenti morti: non si può davvero più sopportare il loro massacro», dice. «Privarsi del cibo è una nullità rispetto alla sofferenza della popolazione di Gaza. Continuerò ad oltranza finché qualcosa non cambierà»

di Anna Spena

Oggi, 26 maggio, mille tra presidenti di regione, sindaci, consiglieri comunali e attivisti della società civile, che aderiscono alla Rete di Trieste, stanno portando avanti uno sciopero della fame per chiedere l’immediata cessazione del massacro in corso nella Striscia di Gaza. Un’iniziativa integrata anche dal Mean, Movimento europeo di azione non violenta, che rilancia con uno sciopero della fame prolungato per una settimana e l’“occupazione” simbolica e pacifica delle aule consiliari.

«Non si può restare in silenzio», dice Angelo Moretti, portavoce del Mean. «Per oltre venti mesi abbiamo assistito a un crescendo di orrori: civili sterminati, bambini uccisi, ospedali distrutti, fame imposta come arma di guerra. Perché il silenzio, oggi, è complicità». A lanciare per primo l’iniziativa è stato Mario Cicero, sindaco del comune di Castelbuono, in provincia di Palermo. «Da lì», continua Moretti, «è partito un tam tam per attivare tutte le realtà che fanno parte della rete dei Piccoli Comuni del Welcome. Chiediamo al governo e al Presidente della Repubblica di assumere una posizione chiara rispetto all’eccidio di Gaza. L’Italia deve alzare la voce, le comunità locali non hanno eserciti, non possiamo che intraprendere insieme un’azione nonviolenta, ma radicale». Sono almeno 50 gli amministratori e le amministratrici che hanno già aderito a una forma intensa e prolungata di digiuno, tra loro Stefania Proietti, governatrice dell’Umbria, fino a quattro mesi fa sindaca della città di Assisi.

Perché ha scelto di aderire a questa iniziativa?

Ci tengo a dire che non lo sto facendo da sola. Hanno scelto di digiunare con me anche la presidente dell’Assemblea legislativa Sarah Bistocchi, l’assessore regionale con delega alla Pace, Fabio Barcaioli, e una rappresentanza di consiglieri regionali di maggioranza di tutti e quattro i gruppi consiliari (Pd, Avs, Movimento Cinque Stelle, Umbria Domani). Quando la scorsa settimana la Rete di Trieste ha lanciato l’iniziativa abbiamo aderito subito, senza neanche pensarci. Come regione Umbria avevamo già approvato una mozione sul riconoscimento dello stato di Palestina e una mozione sul cessate il fuoco. Ma tutto mi e ci è sembrato inutile. In noi è scattato qualcosa dentro perché la somma delle uccisioni di troppi civili, di troppi bambini, di troppi innocenti non si può davvero più sopportare. Il rischio che corriamo è che addirittura si diventi impermeabili a tutte queste morti.

Che messaggio vuole lanciare?

Io sono una persona che ha il privilegio di ricoprire un incarico politico e pubblico, che in qualche modo rappresenta le persone. Fare un’azione di digiuno prolungato, per ora di una settimana, e poi – per quanto mi riguarda, ad oltranza se non succederà qualcosa – è un modo per amplificare il messaggio. Un messaggio che forse verrà ascoltato.

Da chi vuole essere ascoltata?

Da tutti. Ma in modo particolare dal nostro governo. E a lui chiediamo un’azione di ferma condanna nei confronti di Israele. Ma la condanna da sola non basta: abbiamo bisogno di un’azione di politica internazionale per fermare un omicidio di massa.

Ma il governo italiano è stato silente per moltissimi mesi. Solo negli ultimi giorni, davanti all’orrore che si consuma nella Striscia di Gaza, sta timidamente uscendo dall’ombra.

È vero. Abbiamo assistito a un vuoto assoluto. Ma comunque dobbiamo chiedere che le cose cambino. E lo facciamo con un’azione nonviolenta. Non attraverso una manifestazione in piazza, ma privandoci del cibo per una settimana. E posso aggiungere una cosa su questo?

Che cosa?

Privarsi del cibo per una settimana è una nullità rispetto alla sofferenza dei gazawi. Ho nella testa le immagini dei video dei bambini circolate in queste ore. Bambini che si riversano su quei pochi aiuti umanitari che sono entrati. Uno in particolare è rimasto ustionato nella calca, piangeva. È andato via a mani vuote. Se le parole non le ascolta nessuno dobbiamo provare a fare rumore con i nostri corpi. E allora io ho scelto, per essere ascoltata, di condividere quella fame nera che sentono i gazawi. Sia chiaro: l’iniziativa che portiamo avanti è una piccolezza rispetto a quello che si vive dentro la Striscia. Però se anche un solo palestinese saprà che qualcuno di noi, da qui, dall’Italia, qualcuno che come me ricopre un ruolo politico, condivide con loro il morso allo stomaco, forse saprà che c’è ancora un’umanità che solidarizza, che è fraterna. Oggi è impossibile andare lì ad aiutarli, ma vogliamo dire comunque la nostra. Vogliamo dire che l’Italia ripudia la guerra, che il governo deve agire, che questa conta inenarrabile di morti innocenti deve finire. Così come innocenti erano le vittime del sette ottobre, così come innocenti sono gli ostaggi nelle mani di Hamas, così come è innocente chi viene colpito da atti di antisemitismo. Noi stiamo sempre dalla parte delle vittime. E tutti questi morti non possono passarci sotto gli occhi come se niente fosse.

Credit foto: Cecilia Fabiano/LaPresse

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